Le cifre del terzo settore sono una risposta alla crisi
Secondo i dati raccolti recentemente da Vita, l’impresa sociale rappresenta per l’Italia una risposta concreta alla crisi occupazionale. Impiega, infatti, oltre 750 mila dipendenti e coinvolge più di 85 mila aziende. Anche a causa dei tagli riservati in questi ultimi anni al welfare e la conseguente esigenza di servizi, l’impresa sociale è una risorsa interessante. Si stima che circa il 20% delle startup siano attive nella sanità e nell’assistenza, nella cultura e nell’istruzione, nella ricerca e nello sviluppo. Le imprese non profit risultano, infatti, tra le più innovative. Il 9° Censimento generale dell’industria e dei servizi e Censimento delle istituzioni non profit dell’Istat ha rilevato 301.191 istituzioni non profit. In dieci anni le istituzioni del comparto non profit sono cresciute del 28%, confermando così il trend particolarmente vivace.
Sono numeri importanti, per due ragioni di fondo. La prima: al pari di altri settori (green economy e Ict su tutti) il non profit è tra i pochi a garantire occupazione di qualità. La seconda: è tra i pochi ambiti in cui ricerca e innovazione sono parte integrante di un sistema produttivo e non un costo da eludere. Si tratta di un problema endemico (l’Italia è tra i Paesi dell’Ue che investe meno in ricerca), che provoca un ritardo all’interno della struttura produttiva, composta in larga parte da microimprese (oltre il 90%). Per rendere meglio l’idea, l’Italia spende per ricerca e innovazione meno di Francia, Slovenia, Belgio, Paesi Bassi, Regno Unito, Irlanda, Estonia Portogallo, Repubblica Ceca, Lussemburgo e Spagna. I Paesi più virtuosi sono Svezia, Danimarca, Germania e Austria che investono in R&S più del doppio, la Finlandia addirittura più del triplo.
Nel bel mezzo di una fase congiunturale servirebbe più coraggio per non lasciarsi scappare i treni in corsa. Prendiamo ad esempio la green economy: secondo il rapporto GreenItaly 2013 di Unioncamere e Fondazione Symbola nel 2012 l’economia verde ha prodotto un valore aggiunto di 100,8 miliardi di euro, ovvero il 10,6% dell’economia nazionale. A detta di Symbola, inoltre, i green jobs arriveranno a coprire il 61,2% di tutte le assunzioni destinate alle attività di ricerca e sviluppo delle nostre aziende. Allo stesso modo, stando alle cifre contenute nell’indagine Tecnè, Non profit: l’Italia che va, in dieci anni (2001-2011), il numero di occupati in quest’ambito è cresciuto del 39,4%. Un andamento diametralmente opposto alla media generale, che ha visto crescere il numero degli occupati del 2,8% appena.
Il terzo settore offre in primis servizi utili alla comunità, a costi sostenibili e in linea con quanto previsto dal decreto 155/06 (l’organizzazione che esercita un’impresa sociale destina gli utili e gli avanzi di gestione allo svolgimento dell’attività statutaria o ad incremento del patrimonio) nelle diverse sfere di influenza: dall’assistenza sociale e sanitaria alla formazione universitaria e post-universitaria, passando per il turismo e per la valorizzazione del patrimonio culturale. C’è una terza ragione, dunque, per incentivare investimenti che siano strategici e duraturi: il consolidamento di un modello che (già) funziona e che proietti l’Italia nel futuro.