La disparità di genere in Italia

L'annosa questione delle quote rosa
L’annosa questione delle quote rosa

Le donne in Italia non godono delle stesse opportunità di cui usufruiscono gli uomini. Tanto nel lavoro, quanto nelle istituzioni.

Detto, fatto. Il premier Matteo Renzi, prima di diventare presidente del Consiglio, aveva promesso un governo “snello” composto per metà da uomini e per l’altra metà da donne. Così è stato: 16 ministeri di cui otto guidati da ministri e gli altri otto da ministre. Ma la questione della parità di genere – delle cosiddette quote rosa – è sempre d’attualità.

Gap di genere in Italia

Il gap di genere in Italia è un problema serio in quanto, nonostante i passi in avanti in materia, c’è ancora molto da fare in termini di pari opportunità. Nel nostro Paese le donne hanno più difficoltà ad accedere nel mercato del lavoro rispetto agli uomini, percepiscono stipendi più bassi e considerando le ore dedicate alla vita domestica (casa, famiglia…) lavorano più dei relativi compagni. In molti casi, soprattutto al Sud, la donna colma le lacune di un sistema di welfare praticamente assente. Le classifiche internazionali pongono il nostro Paese nel fondo per rispetto della parità di genere.

Le polemiche di questi giorni

In questi giorni il problema è stato particolarmente sentito dopo che diverse parlamentari hanno presentato un emendamento bipartisan per garantire, all’interno del nuovo sistema elettorale, la presenza di quote rosa, vale a dire l’alternanza di genere nelle liste. L’ipotesi è stata bocciata con voto segreto dall’Aula della Camera e a seguire non sono mancate le polemiche, tra quanti ritengono lo strumento un utile correttivo per porre rimedio ad un ritardo soprattutto culturale e quanti, invece, lo considerano una mera scorciatoia che non tiene conto di altre prerogative quali il merito e le competenze.

Le donne nelle istituzioni rappresentative dell’Italia repubblicana

Polemiche a parte, un’indagine diffusa nel 2011 ripercorre le tappe della donna nell’Italia repubblicana. Secondo il rapporto Le donne nelle istituzioni rappresentative dell’Italia repubblicana: una ricognizione storica e critica redatto da Lorella Cedroni, professoressa di Filosofia Politica all’Università La Sapienza di Roma, e Marina Calloni della Bicocca di Milano, l’Italia occupa il 54esimo posto su un campione di 188 Paesi per rappresentanza femminile in Parlamento. E tra i Paesi dell’Unione europea, risultava in quel momento, addirittura quart’ultima. Andò meglio nel 1994, dopo che entrò in vigore la legge sulle quote rosa, ma con la bocciatura della Consulta nel 1995 la percentuale scese nuovamente sotto il 10 per cento. In 60 anni solo 75 donne hanno ricoperto incarichi di governo. Inoltre la maggior parte delle senatrici e delle deputate vengono dal Nord.

In Europa

Il tema è dibattuto anche a livello europeo. Una risoluzione del Parlamento europeo del novembre scorso, infatti, esorta la Commissione di Bruxelles a “sostenere gli Stati membri nella riduzione del divario retributivo di genere di almeno 5 punti percentuali ogni anno, con l’obiettivo di eliminarlo entro il 2020”. Nel 2012, inoltre, sempre il Parlamento europeo bloccò per diversi mesi la candidatura del governatore della Banca centrale lussemburghese, Yves Mersch, nel board della Bce. Motivo? L’assenza di donne nel direttivo dell’Eurotower. L’8 marzo scorso, in compenso, la Banca centrale europea ha nominato due donne in più (ora sono quattro) nel consiglio di vigilanza che a partire dal prossimo autunno “controllerà” le banche dell’eurozona.