Il gioco d’azzardo assicura incassi, ma provoca dipendenza e disagio sociale
Con l’approvazione del Ddl di delega fiscale, il Parlamento ha sancito l’introduzione di norme più restrittive nei confronti del gioco d’azzardo. Viene riconosciuto il ruolo dei Comuni nella concessione delle autorizzazioni alle sale da gioco, la cui apertura sarà vincolata da diversi parametri (come il rispetto di distanze minime dai luoghi sensibili, ad esempio) e seguendo una pianificazione volta alla loro riduzione e concentrazione. Le norme prevedono inoltre la salvaguardia dei regolamenti comunali restrittivi già vigenti. Viene anche introdotto un meccanismo di auto-esclusione dal gioco e il pubblico riconoscimento per le iniziative “no-slot”, e incrementata la lotta alla criminalità organizzata. Sarà inoltre impossibile trasmettere spot pubblicitari nel corso di trasmissioni radio e televisive per i giochi che prevedono vincite in denaro e che hanno maggiori probabilità di stimolare comportamenti compulsivi. Nelle ultime ore la commissione Affari sociali della Camera è tornata a occuparsi del tema.
Un giro d’affari da 80 miliardi di euro
Le regole, intanto, cercheranno di limitare la diffusione del gioco d’azzardo, il cui giro d’affari – solo nel 2011 – è valso ben 80 miliardi di euro, pari a circa il 5% del Pil. Una cifra cresciuta esponenzialmente soprattutto nel biennio 2010-2011 (+30%). Nel 1994, il fatturato non superava i 6,5 miliardi di euro. Un aumento in gran parte dovuto all’introduzione di nuove regole che hanno permesso ulteriori modalità di puntato come il gioco online e l’apertura del mercato, risalente al 2004 (legge Bersani-Visco), a società straniere quali Intralot, Merkur, William Hill e Unibet oltre alle italiane Lottomatica, Sisal e Snai.
Costi sociali e sanitari
Ma al di là della crescita esponenziale degli introiti, il gioco d’azzardo ha anche dei costi sociali e sanitari per la collettività tra i 5,5 e i 6,6 miliardi di euro l’anno, secondo quanto stimato da Libera nel suo dossier Azzardopoli 2.0. “A questi – mette però in guardia chi ha stilato il rapporto – vanno aggiunti 3,8 miliardi di euro di mancato versamento dell’Iva, nel caso in cui i 18 miliardi di euro, sul fatturato complessivo, che non tornano ai giocatori in forma di montepremi fossero stati spesi in altri consumi (con Iva al 21%)”. Ma oltre a denunciare il “coinvolgimento delle mafie” nel gioco illegale, con un fatturato stimato nel 2012 attorno ai 15 miliardi di euro, il rapporto Azzardopoli 2.0 riferisce una stima preoccupante, relativa alla ludopatia: “Le persone che hanno problemi di dipendenza sono tra le 500 mila e le 800 mila, quelle a rischio sono quasi due milioni”.
Il paradosso italiano
Leggendo i dati, emerge tuttavia un paradosso: perché la crescita del giro d’affari legato al gioco d’azzardo (tra gli 88 e i 94 miliardi di euro, circa il 4% del Pil) non è accompagnata da un incremento delle entrate nelle casse dello Stato, che “scendono incessantemente” (si è infatti passati dal 29,4% del 2004 all’8,4% del 2012, sul totale del fatturato). Una contraddizione vera e propria per un Paese, l’Italia, che purtroppo è tra i primi al mondo per consumi riconducibili al gioco d’azzardo: la spesa pro capite annua per ogni italiano maggiorenne va infatti dai 1.703 ai 1.890 euro.