Rare Lives, malattie rare con volti e storie

Rare Lives, il volti e le storie delle malattie rare, un progetto fotografico di Aldo Soligno (@Aldo Soligno/EchoPhotoAgency)
Rare Lives, il volti e le storie delle malattie rare, un progetto fotografico di Aldo Soligno (@Aldo Soligno/EchoPhotoAgency)

Dall’Italia all’Europa con un progetto fotografico finanziato con il crowdfunding: un intervista al fotografo Aldo Soligno

Dare un volto ed una storia alle persone affette da malattie rare. Questo è lo scopo di Rare lives, vite rare, il progetto fotografico realizzato da Aldo Soligno, in collaborazione con l’agenzia fotogiornalistica Echo e UNIAMO F.I.M.R, Federazione Italiana Malattie Rare, con il contributo di Genzyme, una società farmaceutica del gruppo Sanofi impegnata nello sviluppo e nella diffusione di terapie innovative per il trattamento di patologie rare e disabilitanti. Un progetto che, partito dall’Italia, ad un anno dal suo debutto approda in Europa grazie al crowdfunding su kriticalmass.com, mancano una ventina di giorni alla scadenza della raccolta fondi e manca ancora più della metà del contributo richiesto, ed un animato front end social che comprende Facebook e Twitter (@RareLives #RareLives), Thumblr Instagram. Rare Lives, quindi si sostiene oggi grazie alla raccolta di fondi on line per narrare volti e storie delle malattie rare. Ognuno può offrire il suo contributo, piccolo o grande, per far uscire dall’ombra le storie di vita delle persone che sono affette da malattie rare e che, spesso, vivono la loro condizione in una sorta di isolamento sociale in cui. Spesso, poi, è la famiglia a farsi carico da sola dei bisogni di cura.

Partito dall’Olanda lo scorso 14 ottobre, il progetto, che, dopo la Polonia, toccherà altri 6 paesi europei – Francia, Germania, Danimarca, Spagna, Portogallo, Romania – si concluderà il 28 febbraio 2015, Giornata Mondiale delle Malattie Rare. Giorno dopo giorno un viaggio fotografico attraverso l’Europa che vuole investigare la vita quotidiana di coloro che soffrono di malattie rare. Il bisogno dei pazienti, le loro speranze, le loro difficoltà, ma soprattutto le loro gioie e le loro conquiste quotidiane. Per comprendere meglio il significato e gli obiettivi del progetto Rare Lives abbiamo intervistato il fotografo Aldo Soligno che lo sta sviluppando con agenzia fotogiornalistica Echo.

Rare Lives, un progetto fotografico che racconta i volti e le storie delle malattie rare, partito dall’Italia approda in Europa

Sociale.it | Come nasce l’idea di Rare Lives?
Aldo Soligno | L’idea è nata circa un anno fa, nel settembre del 2013. Insieme al direttore della mia agenzia foto giornalistica Echo, Gianmarco Maraviglia. Stavamo ragionando su quale potesse essere il tema del mio successivo reportage. Volevamo che fosse un tema poco discusso dai media e che riguardasse l’Europa. In quel momento mi sono ricordato di aver visto il video di una bambina affetta da spina bifida che descriveva la propria esperienza presso Dynamo Camp. Nel guardare quel video il sorriso, la positività e soprattutto la vitalità di quella bambina mi avevano colpito fortemente. Da qui abbiamo deciso che il mio successivo reportage avrebbe riguardato il tema della difficoltà e della quotidianità di chi vive la condizione di malato cronico, ma affrontato con la stessa positività e vitalità che avevo ritrovato in quella bambina.
Partendo da questi presupposti é stato poi naturale decidere di concentrarsi sulle malattie rare e quindi contattare la Federazione Italiana Malati Rari UNIAMO. Sono partito quindi per quello che sarebbe dovuto essere un normale reportage, ma subito dopo essermi avvicinato a questo mondo così difficile, ma allo stesso tempo così speciale, insieme ad UNIAMO abbiamo deciso che dovevamo fare qualcosa di più. Quindi è nato Rare Lives.

Aldo Soligno, suo il progetto Rare Lives con Echo Photo Agency

Come sei entrato in contatto con le persone che hai fotografato e ti hanno narrato le loro storie di vita?
A.S. | In genere a mettermi in contatto con i pazienti è la Federazione Italiana Malati Rari UNIAMO. Non è facile per una persona che soffre di una patologia rara decidere di aprirsi in questo modo ed accogliere una persona così forzatamente invasiva come un fotografo all’interno della propria vita per vari giorni. Serve qualcuno che garantisca per lui, che faccia da tramite e gli permetta di comprendere il progetto. Ancora adesso continuiamo in questo modo, anche se grazie alla notorietà del progetto cominciano ad essere tante le persone che si propongono autonomamente.

Dalle foto, dalle frasi che le accompagnano, si percepisce una voglia fortissima di raccontarsi, nel quotidiano e nella vita, come per rompere un guscio, il muro del silenzio. Non hai mai temuto di essere troppo coinvolto, di andare oltre il progetto fotografico?
A.S. | Questo nel mio lavoro accade spesso, che si tratti delle persone che incontro durante la guerra a Gaza, o della comunità omosessuale ugandese attaccata dal proprio governo. La macchina fotografica è un ottimo filtro, finché la tengo in mano per scattare non è un problema. Il problema arriva quando bisogna salutarsi. È veramente impossibile non affezionarsi enormemente alle persone che si sono seguite in maniera così intensiva per vari giorni e sopratutto con cui si è condiviso qualcosa di così intenso.

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Di malattie rare si parla poco, sono spesso orfane anche di ricerca genetica, medica e farmacologica. Quanto credi che, mostrare le persone e la loro narrazione in prima persona, possa influire su una maggiore consapevolezza dell’opinione pubblica e a stimolare un impegno più incisivo non solo sulla ricerca, ma anche su un welfare più sensibile ai bisogni specifici delle persone con malattie rare?
A.S. | Purtroppo non è facile cambiare il mondo, e non ho certo la presunzione di farlo con un mio servizio fotografico. Però, anche se il mondo continuerà a rimanere quasi lo stesso, tante persone potranno comprendere meglio chi vive questa condizione. Mettersi nei loro panni. Ed allora, forse, la prossima volta che parcheggeranno staranno più attente a non intralciare una rampa che può essere vitale per la carrozzina che deve salire un marciapiede, o anche solo potranno vedere con occhi più normali queste persone speciali. Con meno distacco o diffidenza.

Quali sono state le reazioni che hai raccolto quando hai esposto le foto di Rare Lives?
A.S. | Penso che la reazione che sia ricorsa maggiormente sia stata di stupore. Chi guardava le immagini rimaneva stupito, quasi impressionato dalla forza di volontà, dalla caparbietà e dalla determinazione delle persone che avevo ritratto. Che fossero bambini o adulti. Penso che purtroppo sia normale per tutti noi avere come primo pensiero: “poverino”, quando vediamo una persona affetta da una patologia rara. Per fortuna, invece, nell’espressione di chi ha visto le foto ho letto: “io non sarei in grado di fare questo!” La compassione si è trasformata in ammirazione. E davvero spero che questo possa diventare l’obiettivo di questo progetto.

Il progetto Rare Lives dall’Italia si allarga ad altri Paesi Europei: quali differenze hai percepito?
A.S. | Per ora ancora non tante, ma siamo solo all’inizio del progetto. Certo, la qualità dell’assistenza e del welfare cambia tra i diversi paesi, e questo è fondamentale per chi soffre di una di queste malattie. Ma la forza, la vitalità e la gioia per ogni piccolo traguardo raggiunto che ho visto nei pazienti non è assolutamente diversa.

Le persone con malattie rare, le loro famiglie, spesso possono essere considerate delle vere e proprie singolarità sociali. La ricerca su una malattia rara è stata spesso stimolata proprio da malati e familiari, che, anche attraverso il web, si sono cercati e collegati, conosciuti, hanno fatto comunità e gruppi di pressione ed informazione. Il progetto Rare Lives può servire anche a questo?
A.S. | La nostra volontà è quella che Rare Lives possa diventare un punto di incontro per queste persone, un luogo dove potersi conoscere, scambiare suggerimenti e magari anche darsi forza a vicenda. Dopotutto, sebbene ogni malattia colpisca relativamente pochi pazienti, nel complesso le persone affette da patologia rara sono tantissime, e forse, proprio unendosi, possono avere più possibilità di far sentire la propria voce alle istituzioni ad al resto della popolazione.

Rare Lives si sostiene anche attraverso un crowdfunding su kriticalmass.com. Che riscontri ha avuto? Credi che questi strumenti di sostegno social possano essere la soluzione per la realizzazione di progetti artistici con alto significato etico e non commerciali come Rare Lives?
A.S. | Purtroppo devo ammettere che fino ad ora più del 95% del finanziamento che abbiamo ottenuto è arrivato da una sola entità: l’azienda di biotecnologie farmaceutiche Genzyme del gruppo Sanofi. Quando hanno saputo del progetto lo hanno ritenuto importante per la causa delle malattie rare e lo hanno supportato tramite un contributo non condizionato alla Federazione Italiana Malati Rari UNIAMO. Ma voglio rimanere ottimista! Spero quindi che nel corso del prossimo mese possano essere in tanti a donare anche solo cinque o dieci euro, e permetterci di continuare questo meraviglioso viaggio. [NdR: il progetto può essere sostenuto attraverso un contributo sulla piattaforma di crowdfunding kriticalmass.com]

In generale, quanto è stata importante la narrazione del progetto sul web e sui social?
A.S. | Io credo che sia fondamentale. Senza di essa io adesso sarei comunque in giro per l’Europa a raccogliere le testimonianze, le immagini e le storie, ma nessuno lo saprebbe. Alla fine probabilmente il risultato sarebbero 50 o 100 immagini in una mostra, visitata da 300 o 500 persone al massimo. Così invece possiamo coinvolgere quotidianamente migliaia di persone. La pagina del progetto spesso arriva a raggiungere fino a 20.000 persone la settimana con i suoi post. Ed oltre a coinvolgere esponenzialmente più persone possiamo anche raccontare in maniera più approfondita ogni storia, permettendo a chi la segue non solo di vedere molte più immagini rispetto a quello che vedrebbe in una mostra o non libro, ma di sapere che quelle immagini sono state scattate solo poche ore prima, e penso che questo possa veramente rendere questo progetto un’esperienza non solo mia, ma collettiva. Vorrei pensare che chi da casa vede una foto di Ola dalla Polonia, di Roberta dalla Puglia, o di Laura da Milano, di Davide da Firenze; possa sentirsi di aver condiviso un momento con loro ed un po’ loro amico. In questo è fondamentale il supporto di Eventidigitali. Loro si occupano della comunicazione online dei più grandi artisti italiani, tra i quali Ligabue, Allevi, i negramaro e tanti altri. E la cosa incredibile è che in questo momento stanno raccontando la vita di questi pazienti esattamente come raccontano quella delle rockstar! Per tutte le news rimando tutti al profilo facebook del progetto, www.facebook.com/rarelives e grazie per l’attenzione!