Sono precarie, senza figli poco rappresentate ma soddisfatte del rapporto con i pazienti
Una ricerca sulle donne medico dice che hanno più contratti precari, borse di studio e lavori in strutture private rispetto agli uomini. Solo il 27% delle dottoresse sotto 40 ha figli. Sono poche le donne medico ai vertici di Asl e ospedali ma anche negli Ordini e nelle associazioni professionali. La ricerca è stata condotta su 2.300 medici ed effettuata dall’Ordine dei medici di Napoli. La emergente forza lavoro femminile tra i medici per la prima volta è cosciente di essere la maggioranza ma non si sente molto rappresentata nelle scelte politiche. Quali sono veramente i rapporti di forza tra uomini e donne rispetto alla professione? E le nuove leve come conciliano la vita privata ed il lavoro? Le donne fanno rinunce? Sono queste alcune delle domande che il Comitato Unico di Garanzia dell’OMCeo di Napoli si è posto. Ci è voluto un anno per elaborare, proporre ed analizzare un sondaggio sul benessere lavorativo semplice ma contenente tutte le domande necessarie a fotografare il mondo medico tra precariato estremo per i più giovani e invece lavori immutati negli anni per i più vecchi, logorati dalla noia e dalla impotenza.
Gli step della ricerca
Hanno risposto al sondaggio in più di 2300 medici ed odontoiatri e così ora sono a disposizione i numeri su cui ragionare ed è possibile formulare qualche proposta sostenibile. Mentre era noto che le donne sono presenti nei ruoli apicali in una percentuale che è la metà di quella degli uomini e il nostro sondaggio conferma il trend nazionale, non si immaginava che le donne in media avrebbero dichiarato di aver fatto un anno di precariato in più degli uomini. Se si guarda ai dati degli under 40 scopriamo che le donne hanno più frequentemente contratti precari, borse di studio, lavori in strutture private. E poi che solo il 27% delle dottoresse under 40 ha figli, di loro solo il 10% ne ha due, e che la maggioranza purtroppo sembra proprio che neanche ne desideri. Infatti le donne – delle quali il 15% sotto ai 35 anni non riesce a trovare lavoro, contro l’8% degli uomini di pari età- dichiarano che la cosa che desiderano di più al momento, è avere un posto di lavoro stabile, e poi di avere più tempo per se stesse, più responsabilità, migliori rapporti di lavoro con i colleghi, persino che i luoghi di lavoro siano più adeguati al servizio svolto. Forse proprio per questa sensazione di precarietà professionale due terzi delle donne (ma anche il 55% degli uomini) chiedono che le donne siano meglio rappresentate in quelle posizioni che contribuiscono alle scelte politiche che le riguardano e dalle quali si sentono ignorate. E’ di questi giorni la polemica sull’esiguo numero di donne tra i candidati al Consiglio degli Ordini dei Medici. I motivi non sono nella scarsa disponibilità delle donne a prendersi onori ed oneri della carica ma le scelte derivano da antiche consuetudini dure da scardinare. Per questo le poche donne che saranno nei Consigli dovranno impegnarsi come non mai perché qualcosa cambi. Il sondaggio rileva che il 65% degli uomini e delle donne ritengono giusto favorire nei Consigli, con una quota protetta, la rappresentanza di genere. Su questo i CUG e l’Osservatorio per la professione femminile dovrà lavorare cambiando la strategia, visti i risultati.
Il sondaggio evidenzia poi in tutte le generazioni e generi uno scollamento profondo tra i desideri e la realtà quotidiana, una profonda sfiducia nella sanità giudicata frequentemente troppo ‘politicizzata’ e quindi sorda e cieca rispetto alle istanze sia dei medici che dei pazienti. Ma soprattutto è notevole che tra i rispondenti si dichiari nessuna speranza di un miglioramento nell’immediato futuro.
Soddisfazione dal rapporto con i pazienti
La ricerca scopre però che il 90% dei rispondenti dice di essere soddisfatto del proprio rapporto con i pazienti, a dimostrazione che la qualità della relazione medico/paziente resista alle difficoltà quotidiane, alla sfiducia nelle istituzioni, quasi che entrambi gli attori abbiano salvaguardato un pezzo di patrimonio sociale e culturale che è ancora sotto il loro personale controllo.