Il saggio di Rodotà ci parla della necessità di tornare a ragionare sulla solidarietà. La crisi economica europea ha avuto importanti conseguenze sulla tutela dei diritti fondamentali a causa della riduzione delle risorse finanziarie necessarie per garantire i diritti e i servizi sociali. Le modifiche delle politiche di welfare conseguenti alla crisi hanno influenzato il godimento di questi diritti: in diverse occasioni, alla riduzione della spesa pubblica ha corrisposto una riduzione dei livelli di prestazione. Ne parla l’ultimo saggio di Stefano Rodotà “Solidarietà: un’utopia necessaria”, Editori Laterza, Roma-Bari, 2014 di cui è possibile leggere una recensione di Beatrice Catallo qui
Nato a Cosenza nel 1933, Stefano Rodotà si è laureato in Giurisprudenza all’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, dove attualmente è Professore ordinario di Diritto civile. È stato deputato al Parlamento dal l979 al 1994, eletto prime nelle liste del PCI (come indipendente di sinistra) e poi in quelle del PDS. È’ presidente dell’Autorità garante per la tutela dei dati personali. Membro del Gruppo di esperti della Commissione dell’Unione Europea per l’etica delle biotecnologie e del Legal Advisory Board for Market Information. Dirige le riviste “Politica del diritto” e “Rivista critica del diritto privato”.
L’attualità della solidarietà
Ma perché oggi si torna a parlare di solidarietà? Risponde l’autore stesso, intervistato da Il Manifesto, “La crisi economica ha fatto crescere le diseguaglianze e ha diffuso le povertà. Affidarsi alle forze del mercato è un’opzione debole ben al di sotto della necessità di trovare nuovi principi di riferimento. La solidarietà riemerge nei modi più diversi e supera le distanze esistenti. Ad esempio nel discorso sulle pensioni quando si pone il problema della solidarietà tra le generazioni. Nella salute dove non è possibile limitarsi all’oggi per garantire le condizioni minime di vita. Non è un processo facile. Nelle situazioni di difficoltà le distanze possono crescere insieme all’impossibilità di essere solidali. A me sembra che i recenti conflitti sulle occupazioni delle case a Roma ad esempio, siano indotti anche da chi vuole sfruttare le tensioni esistenti. Ma c’è un’altra ragione: finché le persone erano in condizione di pagare una casa non ritenevano intollerabile il fatto che ci fosse qualcuno in difficoltà che occupava un alloggio o non pagava l’affitto di una casa popolare. Con la crisi ci si è ritrovati in una situazione conflittuale. Pagare un affitto è intollerabile, mentre altri non lo pagano. Le condizioni materiali della solidarietà sembrano distrutte, mentre registriamo un rovesciamento del principio: si costruiscono solidarietà di prossimità o vicinanza e si diventa solidali con chi rifiuta la solidarietà agli altri, ai più lontani, agli stranieri o ai rom.”