Siamo solo al cinquantesimo posto in classifica
Italia: non è più un paese felice. A sentire il World Happiness Report l’Italia è solo al cinquantesimo posto della classifica dei paesi in cui c’è più felicità. Questo sembra emergere dalla terza edizione del World Happiness Report, il dossier del Sustainable Development Solutions Network delle Nazioni Unite che svelando la “Felicità Interna Lorda” di ogni stato invita i governi a utilizzarla come strumento per migliorare le proprie politiche interne, economiche ma non solo. Insieme all’Italia anche la Gran Bretagna, la Germania, la Francia, la Spagna e, soprattutto, la Grecia non hanno molto di che gioire: le loro posizioni in classifica sono rispettivamente la ventunesima, la ventiseiesima, la ventinovesima, la trentaseiesima e la centondueesima. Ma al di là della posizione attuale e del confronto con altre realtà europee ciò che dovrebbe preoccupare ancora di più l’Italia è che la felicità dei suoi abitanti è in diminuzione e ha registrato un – 0,8%. Il Report si può scaricare qui ed è stato presentato pochi giorni fa a New York . Realizzato per il Programma di sviluppo sostenibile dell’Onu da John Helliwell della University of British Columbia, Richard Layard della London School of Economics e Jeffrey D. Sachs, direttore dell’Earth Institute della Columbia University, ha visto in la partecipazione di ricercatori italiani per il settimo capitolo dal titolo “Human Values, Civil Economy, and Subjective Well-Being”, un vero e proprio manifesto dell’Economia Civile, che è stato scritto da Leonardo Becchetti, Luigino Bruni e Stefano Zamagni. Il report cerca di misurare la felicità dei singoli Paesi attraverso un indice che sintetizza numeri reali come il reddito pro capite e l’aspettativa di vita. Ogni Paese viene così classificato in una scala che va da 0 a 10.
Espatriare è davvero la soluzione?
Si potrebbe pensare che la scelta migliore sia rifugiarsi in paesi più felici (secondo il report Svizzera – la prima della classifica – o, a seguire, Islanda, Danimarca, Norvegia, Canada, Finlandia, Paesi Bassi, Svezia, Nuova Zelanda e Australia), ma il suggerimento dei ricercatori che hanno lavorato al dossier è un altro, ed è diretto alla società nel suo complesso. “Il benessere – si legge infatti nel report – dipende fortemente dal comportamento pro-sociale dei membri della società. La prosocialità implica che gli individui prendano decisioni per il bene comune che possono scontrarsi con incentivi egoistici a breve termine”. Le competenze da utilizzare sono onestà, benevolenza, cooperazione e affidabilità, che sono “la chiave per raggiungere i migliori risultati per la società”.
Ciò non significa che tutto debba ricadere solo sulle spalle del singolo cittadino. “Società ad elevato capitale sociale, cioè caratterizzate da una fiducia generalizzata, da una buona amministrazione e dal supporto mutuale fra gli individui all’interno della società portano a un comportamento prosociale – spiega il dossier – Un elevato capitale sociale aumenta direttamente e indirettamente il benessere, promuovendo i sistemi di supporto sociale, la generosità e il volontariato, l’onestà nella pubblica amministrazione, e riducendo i costi del business. La questione politica pressante è quindi in che modo le società a basso capitale sociale, spaccate in due dalla diffidenza e dalla disonestà, possono investire in capitale sociale”.
“La sfida – conclude il report – è assicurare che le politiche siano disegnate e messe in atto in modo da arricchire il tessuto sociale, e che insegnino il piacere e il potere dell’empatia alle generazioni presenti e future. Prestare più attenzione ai livelli e alle fonti di benessere individuale ci ha permesso di trarre queste conclusioni e di raccomandare di rendere e mantenere la felicità un punto centrale da ricercare e da mettere in pratica”.