Tutti i problemi dell'Ilva

Una fotografia che rende bene l'idea dell'inquinamento prodotto dall'Ilva di Taranto
L’inquinamento prodotto dall’Ilva di Taranto
Negli ultimi due decenni, la nota acciaieria Ilva di Taranto ha causato un gran numero di decessi e di malattie, difatti nel 2012 la fabbrica è stata messa sotto sequestro dalla Magistratura. Ciò nonostante il governo, incalzato da sindacalisti ed industriali, ha insistito nel voler tenere in vita l’azienda e ha stanziato, negli anni, ingenti risorse per risanare sia la fabbrica, sia la zona circostante, sia i conti dell’azienda gravemente in rosso. Tali opere di risanamento, per giunta, procedono in maniera piuttosto lenta e farraginosa, e fino ad adesso hanno risolto soltanto una piccola parte dei problemi sia dell’azienda, sia della zona circostante. Vediamo più in dettaglio i particolari di questa sconcertante vicenda, nella quale senza dubbio gli interessi di categorie particolari sono stati anteposti all’interesse collettivo.

Numerosi decessi e ricoveri  

L’estrema tossicità delle emissioni dello stabilimento Ilva è stata dimostrata da numerose indagini e perizie mediche disposte nel corso degli anni. Una delle ultime perizie mediche, disposta dal GIP di Taranto Patrizia Todisco nel 2012, ha stabilito che tra il 2004 ed il 2010 le emissioni dì polveri sottili avrebbero causato nella zona di Taranto una media di 83 morti l’anno, e di ben 648 ricoveri l’anno per cause cardiorespiratorie. Le responsabilità dell’Ilva sono dimostrate anche dall’alto numero di operai dell’azienda che sono morti a causa di patologie tumorali, in particolare di tumore allo stomaco, alla prostata, alla vescica e alla pleura.
L’aumento di mortalità per le varie malattie registrato nella zona di Taranto dal Ministero della Salute (fonte www.ambientebio.it)
L’azienda ha evidenziato gravi carenze anche dal punto di vista della sicurezza, con 50 incidenti mortali in azienda negli ultimi vent’anni: uno dei più tragici è stato quello che ha coinvolto il gruista Francesco Zaccaria, che è precipitato in mare da 60 metri con la sua cabina.

 I magistrati sequestrano, il governo dissequestra

Dopo il provvedimento di sequestro emesso dal GIP Todisco il 7 agosto 2012, sono accadute tantissime cose, vediamo di sintetizzare quelle più importanti. Nel dicembre 2012, il governo Monti emana un decreto legge che, in nome “della salvaguardia dell’occupazione e della produzione”, vanifica di fatto il provvedimento di sequestro e consente la ripresa delle produzione, sia pure a ritmi ridotti e a patto che l’azienda si impegni, nell’arco di un certo lasso di tempo, al rispetto di determinati standard prescritti dall’ Autorizzazione Integrata Ambientale. La Procura di Taranto ha fatto ricorso contro questo decreto legge, ma tale ricorso è stato bocciato dalla Consulta. Così la fabbrica è tornata a funzionare, nel contempo è stato avviato un piano di risanamento sia degli impianti produttivi, sia della zona circostante.

Bonifiche lentissime

Però questo piano di risanamento procede, stando a quello che scrive Giorgio Meletti sul Fatto Quotidiano, in maniera estremamente lenta. Nel 2012 erano stati stanziati 110 milioni per la bonifica delle zone avvelenate dall’ Ilva: solo il 23 luglio 2015 inizieranno i lavori di bonifica di una parte del rione Tamburi, uno di quelli più vicini alla fabbrica.
Il rione Tamburi, molto vicino alla fabbrica Ilva
La superficie che verrà bonificata, stima il giornalista del Fatto, non copre più di un millesimo dell’intera superficie da bonificare. Per giunta, come afferma l’associazione  tarantina “Cittadini e Lavoratori Liberi e Pensanti” sul sito www.inchiostroverde.it, “non ha alcun senso bonificare mentre le fonti inquinanti sono ancora in funzione”.

 Ristrutturazioni interne… basteranno?

Un po’ meglio sembrano procedere i lavori interni all’azienda, che hanno la finalità principale di diminuire le emissioni nocive.  Ad inizio luglio, secondo quanto riportato dal sito web del Nuovo Quotidiano di Puglia, l’Ilva ha comunicato la conclusione di vari lavori di ristrutturazione, tra i quali la copertura degli edifici e la chiusura dei nastri trasportatori limitrofi. Del resto, l’llva deve spicciarsi a rendere la sua fabbrica meno inquinante perché il 31 luglio 2015 è prevista una scadenza molto importante: infatti per quella data l’ Ilva dovrà essere in regola con almeno l’ 80% delle prescrizioni contenute nella sua Autorizzazione Integrata Ambientale. Diversamente, dovrà cessare la sua attività una volta per tutte. L’azienda non deve essere del tutto tranquilla riguardo a questi requisiti, perchè ha chiesto di modificarne alcuni dettagli, che in questa sede sarebbe troppo lungo spiegare.Il numero di infortuni invalidanti é leggermente in diminuzione rispetto agli anni scorsi, ma purtroppo nella fabbrica si continua a morire: lo scorso 8 giugno l’operaio Alessandro Morricella è stato investito da un getto di ghisa liquida.

Tre miliardi di debiti! 

Sostanzialmente, l’Ilva sembra ancora abbastanza lontana dallo standard di un’azienda che convive felicemente con l’ambiente. Ma, anche ammesso e non concesso che l’Ilva riesca a implementare processi produttivi completamente ecosostenibili, e si riesca a decontaminare la zona da tutte le sostanze inquinanti emesse negli ultimi decenni, rimane un altro grandissimo problema: quello dei debiti accumulati. Il 31 gennaio il Tribunale fallimentare di Milano ha determinato l’ammontare dei debiti Ilva in una cifra stratosferica: 2,9 miliardi di euro. Anche qui, nonostante tutti i danni compiuti e tutti i reati commessi dall’Ilva negli ultimi decenni, il Governo ha mostrato una certa insistenza nel voler tentare un improbabile salvataggio. Con alcuni decreti legge ha autorizzato l’Ilva a contrarre finanziamenti fino a 400 milioni con garanzia dello Stato: ma soprattutto, ha stabilito che il miliardo e 172 milioni sequestrato ai fratelli Riva, gli ex-proprietari dell’Ilva condannati per truffa aggravata, verranno utilizzati esclusivamente per risanare l’azienda.

Nel mondo si produce troppo acciaio

Ma quali sono le reali cause del dissesto finanziario dell’Ilva? Esaminare il problema in profondità ci può aiutare a trarre alcune conclusioni. Alcuni opinionisti, come Luigi Amicone su “Tempi” affermano che questi debiti si devono a tutti i freni che la magistratura ha posto in questi anni ai processi produttivi dell’azienda che prima era in attivo: d’altronde, i provvedimenti presi erano quanto mai necessari per tutelare la salute dei cittadini di Taranto. Ma alla base della crisi finanziaria dell’Ilva ci sono anche cause legate al mercato globale. Nel mondo, e soprattutto in Europa, viene prodotto molto più acciaio di quanto il mercato ne richiede: la Commissione Europea ha stimato che il nostro continente presenta un eccesso di capacità produttiva di 80 tonnellate.
Lo stabilimento di Florange della Arcelor-Mittal, una multinazionale che recentemente ha dovuto ridimensionare parecchie sue unità
80 tonnellate di acciaio prodotto senza mai venire utilizzato, che rappresentano un elevato costo per l’ecosistema, non solo a causa degli effetti ambientali deleteri visti nel caso dell’ Ilva, ma anche a causa dell’elevata quantità di energia impiegata nei processi produttivi. L’eccesso di produzione, chiaramente, rende anche le cose più difficili alle imprese: visto che viene prodotto più acciaio di quanto ne viene acquistato, i prezzi scendono e a peggiorare ulteriormente la situazione c’è l’elevato costo del ferro, recentemente schizzato alle stelle.

Danni difficilmente reversibili

Siamo adesso in grado di trarre delle conclusioni finali. Negli ultimi decenni, molto probabilmente il colosso dell’Ilva ha portato alla società più danni che benefici: ha avvelenato l’aria, il mare e la terra di Taranto, in modo difficilmente reversibile e ha causato migliaia di malattie e di morti. La zona, inoltre, è stata contaminata ad un punto tale da mettere in seria difficoltà molti altri settori, ad esempio quelli dell’agricoltura, dell’ittica e del turismo. Tutto ciò allo scopo di produrre un materiale, l’acciaio, che in Europa viene prodotto in eccesso ed è sempre più difficile da trasformare in profitto. Una volta che la magistratura ha imposto all’azienda determinati limiti nella produzione, d’altronde sacrosanti per tutelare la salute dei cittadini, questa è crollata accumulando miliardi di debiti. Che sia possibile ricostruire un’azienda sana, con i conti in attivo e rispettosa dell’umanità e della natura circostante è tutto da dimostrare; ove anche ciò fosse possibile, richiederebbe ingenti risorse finanziarie che al momento sembrano impossibili da trovare.

Il lavoro si ritrova, la salute non sempre

Probabilmente, più che arroccarsi nella difesa dell’ improbabile struttura esistente, il Governo dovrebbe rispettare la volontà della Magistratura di sospendere la sua attività e rivolgere i suoi sforzi, nella zona, ad altri settori. Il miliardo e passa sequestrato ai fratelli Riva potrebbe più ragionevolmente essere impiegato per finanziare altre attività/servizi più utili all’umanità e alla natura circostante, a cominciare dalla bonifica di tutte le zone contaminate, che è appena agli inizi.

L’acciaieria di Campofelice, in Sicilia, è stata chiusa e la zona, sia pure molto lentamente, riqualificata

I posti di lavoro dei dipendenti dell’ Ilva, e di tutte le altre aziende che vi sono in affari, non possono essere una scusante per mantenere in piedi questo colosso dai piedi d’argilla. Perché perduto un lavoro, spesso se ne trova un altro; per la salute e per l’integrità del territorio, spesso il discorso è un po’ più complicato.