Biohacker, fare da sé in medicina, fuori dai canoni istituzionali
Il fenomeno dei biohacker, di chi sperimenta le cure si di sé, si diffonde per i più svariati motivi: chi fa ricerca in biologia e medicina fuori dai laboratori tradizionali, per curiosità, divertimento o per migliorare la propria salute in autonomia e facendo anche una scommessa sulle proprie potenzialità. I biohacker sono persone o comunità che fanno ricerca biologica al di fuori delle istituzioni. Sono persone con delle professionalità libere dalle logiche dei laboratori tradizionali, dove lo scopo è produrre pubblicazioni scientifiche, trarre un profitto o educare. Linkiesta riporta il caso di Sara Riggare, un ingegnere. Sara ha il Parkinson da quando aveva 13 anni. Un giorno ha deciso di mettere insieme le sue conoscenze e tentare di costruire un’applicazione in grado di tenere traccia delle sue abitudini quotidiane, mettendo in relazione i sintomi della malattia, i farmaci e gli effetti collaterali. L’app inventata da lei stessa, oggi le permette di anticipare i suoi problemi e se necessario modificare l’assunzione dei farmaci a seconda di come si manifestano i sintomi. Gabriel Licina invece è uno biochimico che fa parte del gruppo Science for the Masses, e che ha sperimentato su di sé un collirio a base di clorina per vedere momentaneamente al buio. Di notte è riuscito a individuare nel bosco persone nascoste tra gli alberi fino a 50 metri di distanza.
Un libro parla del tema
«Si tratta di esperienze in cui, tramite la rete o costruendo laboratori a cui chiunque possa accedere e partecipare, si cerca di rendere la biologia più collettiva e aperta», scrive Alessandro Delfanti, ricercatore presso la University of California Davis e autore del libro “Biohacker. Scienze della vita e società dell’informazione” (Elèuthera, 2013). «È una forma di interazione con la ricerca scientifica che avviene in spazi nuovi. Parliamo sia di comunità che cercano di mettere in piedi laboratori autogestiti e non legati direttamente a un’istituzione (soprattutto in Nord America, Europa e Asia, e ancora pochi in Italia); oppure di persone che da sole, con i mezzi a loro disposizione, cercano di produrre dei risultati scientifici-biologici legati alla medicina, spesso anche per migliorare la propria condizione di salute».
Un vero e proprio movimento di persone
Il movimento dei biohackers rientra in quello più ampio del Do It Yourself (DIY, “fai da te”) legato alle tecnologie. «La differenza la fa il campo dove lavorano – scrive l’autore- che di conseguenza ne determina anche lo scopo: ci sono persone che vogliono divertirsi usando la biologia e fanno cose che non potrebbero fare in un laboratorio tradizionale, come un batterio fosforescente. Nel caso della medicina ci sono delle persone che cercano di usare queste tecniche fai da te per migliorare la loro condizione, non per forza progettando qualcosa che ha un effetto diretto sul loro corpo o sulla patologia, ma può anche essere un modo per affrontare la malattia in maniera differente, e riacquistare un po’ di potere su quello che sta succedendo loro. In alcuni casi, per esempio, hanno usato tecniche per aggregare persone e creare comunità per superare un momento difficile come quello che si vive quando si ha a che fare con la malattia. Ci sono altre persone che lo fanno per fare soldi, che rientrano nel movimento delle start up, e cercano di inventare qualcosa da poi rivendere a un’industria farmaceutica o a qualcuno che possa poi sviluppare un prodotto. Negli ultimi dieci anni il fenomeno si è espanso dagli Stati Uniti al Canada, Europa, America Latina e Asia. I gruppi di biologia DIY americani sono spesso più concentrati sul lato imprenditoriale e quindi cercano di lanciare start up basate su forme di ricerca distribuita, e puntano a essere finanziati dal venture capital. Soprattutto in Nord America questo è un filone molto diffuso». E’ in Nord America e in particolare San Francisco che si concentra il fulcro attorno a cui si muove tutto il movimento biohacking, in particolare quello delle start up anche grazie al legame con Silicon Valley, sia con le biotecnologie che per certi versi sono nate.