Cibo scaduto per un’italiano su due: confusione o scelta?
Cibo scaduto, è in aumento il suo consumo a causa della crisi. Anche se a volte si fa confusione sulle etichette. A registrarlo è la Coldiretti, secondo quanto emerso nello scorso mese di febbraio da un sondaggio online. Il quadro che ne emerge è piuttosto chiaro: più della metà degli italiani (il 59% secondo il sondaggio Coldiretti e il 55% secondo i dati dell’Eurobarometro) consuma gli alimenti anche oltre il termine indicato sulla confezione, spesso facendo confusione sul significato delle diverse diciture utilizzate. Come ricorda Coldiretti, infatti, le indicazioni “da consumarsi entro” e “da consumarsi preferibilmente entro il…” hanno due significati diversi. La prima indica la data entro cui un alimento deve essere consumato e oltre la quale non può più essere messo in vendita. Secondo i dati dell’ Eurobarometro il 20% degli italiani è convinto di poter consumare un cibo anche oltre questa data e che la conseguenza peggiore potrebbe essere mangiare un alimento di qualità inferiore rispetto ad uno non scaduto. Più in generale, nei confronti della dicitura “da consumarsi entro” il 27% degli italiani si comporta in modo diverso a seconda del tipo di cibo che ha fra le mani, senza tenere sempre presenti i rischi per la salute paventati da Coldiretti. La data di scadenza è un’indicazione obbligatoria per i prodotti che si rovinano rapidamente, come latte e uova, e una volta superata il consumo del cibo che la riporta potrebbe essere dannoso. Diverso è il caso dei prodotti che riportano l’indicazione “da consumarsi preferibilmente entro il…”. Come spiega il Ministero della Salute ricordando le regole per leggere correttamente le etichette degli alimenti, questa dicitura significa che “il prodotto, oltre la data riportata, può aver modificato alcune caratteristiche organolettiche come il sapore e l’odore ma può essere consumato senza rischi per la salute”.
Una scelta obbligata
”Si tratta di una tendenza preoccupante che – secondo la Coldiretti – conferma gli effetti negativi della crisi sulla qualità dell’alimentazione degli italiani che hanno dovuto tagliare la spesa, ridurre gli acquisti di alimenti indispensabili per la dieta e rivolgersi a prodotti low cost che non sempre offrono le stesse garanzie qualitative”. Gli acquisti di frutta e verdura nel 2013 sono scesi al minimo da inizio secolo con le famiglie che hanno messo nel carrello appena 320 chili di ortofrutta nel corso del 2013, oltre 100 chili in meno rispetto al 2000 mentre il 16,8 per cento degli italiani non possono permettersi un pasto proteico adeguato ogni due giorni. Ad aumentare sono solo le vendite di prodotti alimentari low cost nei discount, le uniche strutture di vendita a segnare un aumento nel corso del 2013 (+1,7 per cento) mentre le gli acquisti alimentari degli italiani scendono complessivamente del 3,9 per cento.