Città inclusive e accessibili.
Sociale.it intervista l’architetta Daniela Orlandi, esperta di accessibilità e barriere architettoniche per Superabile.it di Inail
Sociale.it – Quanto è complesso per Roma il percorso verso una città accessibile e inclusiva?
Daniela Orlandi – Alle soglie dell’inaugurazione del Giubileo il tema di Roma accessibile, accogliente e inclusiva per tutti, persone anziane e disabili, appare a noi cittadini ancora un traguardo difficile da raggiungere e di una complessità perfino scoraggiante. Eppure il tema della città accessibile ed inclusiva è una delle sfide delle città del XXI secolo e per di più è tra i temi di discussione individuati dalle Nazioni Unite per la celebrazione del prossimo 3 dicembre 2015, Giornata Internazionale delle Persone con Disabilità. Ma volendo rimanere ottimisti, sia pure consapevoli della situazione contingente che vive oggi la nostra città, non è mai troppo tardi per rimboccarsi le maniche e quanto meno iniziare un percorso di rinnovamento.
Da dove bisognerebbe ripartire?
Daniela Orlandi – Posto che l’inclusione non è soltanto un fatto etico, ma un valore sociale ed economico, vorrei richiamare l’attenzione su iniziative e progetti vincenti che sono stati realizzati in altre città italiane ed europee, che prima di Roma hanno perseguito l’obiettivo di distinguersi come città senza barriere. Progetti, dunque, non chimere, che possono essere presi come spunto e viatico esperienziale, e quindi buone pratiche da replicare, magari con qualche aggiustamento. Bisognerà intanto distinguere tra quel che si può fare in tempi brevi, da quello che potrà essere fatto con una programmazione di più lungo respiro, per avere come risultato una città più accogliente ed accessibile nei prossimi anni.
Come valorizzare le risorse esistenti?
Daniela Orlandi – Fotografare la situazione attuale, inventariare gli spazi e i servizi accessibili già esistenti e mettere a disposizione del pubblico queste informazioni, dovrebbe essere il primo passo. Mi riferisco, ad esempio, all’accessibilità dei sistemi di trasporto pubblico, dagli autobus di linea ai taxi. Ai servizi igienici e ai parcheggi, ma anche ai luoghi della cultura. Le informazioni già disponibili vanno organizzate e messe a sistema. Fatto questo, si passa al monitoraggio degli itinerari pedonali accessibili. Pensando al Giubileo questi in prima istanza dovrebbero coincidere con quelli giubilari, includendo quindi i luoghi di culto, come chiese e basiliche. Il “mettere a disposizione” significa creare un sistema di comunicazione e di informazione aggiornato ed aggiornabile, indispensabile per agevolare gli utenti nella conoscenza delle diverse accessibilità esistenti (tenuto conto delle diverse situazioni di disabilità e diversità umane), quindi esso stesso accessibile ed adattabile in base alla diversità dei mezzi di comunicazione e delle lingue. Questo primo approccio potrebbe equivalere a vedere il classico “bicchiere mezzo pieno”.
Servono il monitoraggio e la programmazione per superare le barriere architettoniche?
Daniela Orlandi – È bene precisare che per rendere una città accessibile non servono progetti isolati bensì un piano organico e coordinato, il cui nome può anche non essere importante in questa fase. In alcune città italiane si chiama PEBA (Piano per l’Eliminazione delle Barriere Architettoniche), in altre Piano per l’Accessibilità. Ciò che conta è che si tratti di un insieme coordinato di azioni finalizzate a migliorare le condizioni di accessibilità di una città in funzione della diversità dei suoi abitanti, delle diverse forme di disabilità e del tasso di incremento della popolazione anziana. Per fare questo serve fotografare la realtà in negativo analizzando quello che potremmo definire “il bicchiere mezzo vuoto”, cioè le carenze e le criticità esistenti, per poi travasare il tutto nella progettazione olistica delle soluzioni e programmarne la realizzazione. Anche per questo è necessario avere le idee ben chiare su cosa fare, come farlo, tempi di realizzo e risorse finanziarie e umane da mettere a disposizione. Solo così l’accessibilità diventa un processo in divenire e non obiettivo isolato. Un piano fine a se stesso rischia di rivelarsi inadeguato se non è parte di un’azione politica promossa dall’amministrazione cittadina, concretamente impegnata attraverso un ufficio, uno staff qualificato e un programma di governo del territorio. In queste iniziative vanno necessariamente coinvolte le persone con disabilità, attraverso le associazioni che le rappresentano, ovvero gli esperti della materia, e il tutto deve essere guidato da una cabina di regia. Ma, insisto, se per realizzare la città accessibile non si coordinano tra di loro tutti i settori che in un’amministrazione realizzano progetti su servizi urbani, trasporti, strade, edifici pubblici e verde pubblico, queste attività rischiano di non essere pienamente efficaci.
Esempi di Piani per l’accessibilità in alcune città europee ed italiane
- I Piani di accessibilità di Londra (Accessible London: achieving an inclusive environment), Gran Bretagna, e di Helsinki (The City of Helsinki Accessibility Plan), Finlandia;
- In Italia, PEBA (Piano per l’Eliminazione delle Barriere Architettoniche) di Venezia, Mestre e Ravenna ed i Piani per l’Accessibilità in sei comuni della provincia di Pistoia;
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Esempi di Servizi e Uffici specializzati sull’accessibilità in Italia
Ufficio EBA – Eliminazione Barriere Architettoniche – ed il Servizio Città per tutti, entrambi a Venezia, ed il LabAc – Laboratorio di Accessibilità, a Trieste
Esempi di Itinerari accessibili
Venezia Accessibile – Itinerari senza barriere e Itinerari accessibili a Milano.