Chi è accusato di commettere cyber crimini è spesso sbattuto come un mostro in prima pagina prima del processo
L’avvento dell’era delle tecnologie dell’informazione ha portato ad affacciarsi un nuovo tipo di criminalità, quella informatica ed anche in Italia, sebbene con qualche ritardo rispetto all’Unione Europea e a al resto del mondo tecnologicamente avanzato, ha predisposto delle norme ad hoc per contrastarla efficacemente. Quando si parla di criminalità digitale s’intende soprattutto fenomeni come la pedopornografia, l’adescamento e lo sfruttamento sessuale di minori, truffe, cyberbullismo e, da ultimo, un tema che è divenuto caldissimo: il cyberterrorismo. Anche sul piano dell’editoria on line, con tutte le difficoltà che comporta l’individuazione dell’autore che si può celare dietro pseudonimi o avatar, si sta studiando come applicare a blogger, giornalisti e direttori editoriali di testate on line, ma anche a titolari di profili social, le norme già previste per contrastare reati come diffamazione, incitamento all’odio razziale e di genere e all’apologia del fascismo. Anche la giurisprudenza in proposito, nonostante la giovane età del settore, comincia a caratterizzarsi e a chiarire i possibili ambiti di applicazione delle leggi.
Il diritto alla privacy è compresso sul web
Sussiste, però, ancora il problema del confine tra l’interesse collettivo alla sicurezza ed il diritto del singolo alla privacy e alla segretezza dei propri dati e delle proprie comunicazioni. Si tratta di un dibattito molto animato, non solo in Italia, ma anche livello Europeo ed internazionale come ha del resto di recente dimostrato l’accesa discussione intorno al rifiuto di Apple all’FBI di decrittare i dati dell’iPhone dell’autore della strage di San Bernardino, vicenda in cui in favore dell’azienda di Cupertino si sono schierati non solo tribunali americani ma anche perfino le Nazioni Unite. Questo nonostante sia ormai chiaro che la pericolosità dei reati che possono essere commessi online possa avere spesso conseguenze più gravi di quelle dei reati tradizionali, soprattutto per l’assenza di confini fisici del luogo in cui il reato viene commesso e la sua possibilità di globalizzazione e viralizzazione. Tanto pericolosi che per crimini commessi sul web sono state in alcuni casi previste delle aggravanti rispetto ai loro equivalenti non virtuali. Non bisogna dimenticare, infatti, che l’esposizione mediatica offerta a questo tipo di criminalità è oggi particolarmente alta e può di riflesso danneggiare gravemente e permanentemente l’immagine e la reputazione dell’imputato senza tenere conto del fatto che si arrivi o meno, poi, ad una sua condanna.
Garantire un processo equo al cyber criminale
Il cyber criminale, come tutto quello che oggi parla di tecnologia, è spesso una figura mitizzata, certe volte considerata addirittura eroica – come nei controversi casi di diffusione di dati riservati che hanno avuto per protagonisti Julian Assange ed Edward Snowden – oppure, proprio e soprattutto da chi non è avvezzo alla tecnologia e ne diffida per principio, considerati personaggi abietti e pericolosi per definizione, a partire dai terroristi e dai pedofili. Questa visibilità del cybercrimine troppo spesso coincide con un’inevitabile gogna mediatica per gli accusati, soprattutto se si considera che le indagini nei confronti di chi è accusato di cyber crimini sono particolarmente invasive rispetto alla sfera privata e, spesso, toccano aree della vita degli individui coinvolti che non sono direttamente collegate all’oggetto del crimine che si presume abbiano commesso, ma che sollecitano le tendenze voyeuristiche dei media e dell’opinione pubblica. Inoltre, essendo le prove raccolte nel corso dell’indagine delle evidenze del tutto tecniche, che non hanno la necessità di essere contestualizzate ed interpretate, viene meno anche il principio del nostro ordinamento secondo cui l’apparato probatorio per stabilire l’innocenza o la colpevolezza di un imputato si debba formare in aula, durante il processo. Oggi il dibattito giuridico sul cybercrimine è però ormai maturo per affrontare e sciogliere queste contraddizioni e trovare il giusto equilibrio tra diritti dell’individuo ed interesse della collettività.