Un’indagine dell’ ISTAT ci dice che purtroppo molte persone sordocieche in Italia vivono ancora in condizioni di emarginazione e di non-autosufficienza. Ma molto si può fare per migliorare la loro vita
Non era mai stata fatta un’indagine sulle persone sordo-cieche in Italia, che eppure sono in numero rilevante, ben 189,000. Purtroppo dall’indagine svolta recentemente dalla Lega del Filo d’Oro in collaborazione con l’ ISTAT, esce un quadro abbastanza sconfortante, con la maggior parte degli individui sordo-ciechi che non è affatto autosufficiente e passa quasi tutto il tempo fra il letto e la sedia. Certo per un individuo che non vede e che non sente non è facile sviluppare le proprie facoltà mentali e imparare a decifrare il mondo circostante al fine di interagire al meglio con esso; però la toccante storia di Helen Keller, della quale abbiamo parlato in questo lungo articolo, dimostra che ciò è possibile. E se era possibile più di cent’anni fa, lo deve essere a maggior ragione anche adesso. Helen fu seguita con i metodi più avanzati fin da piccola, e fini per sviluppare capacità linguistiche anche superiori alla media, tanto che divenne una celebre oratrice e attivista nel campo dei diritti delle donne e dei disabili.
In Italia il 55% sordo-ciechi vive recluso in casa
Nell’ Italia del 2016 invece, le cose vanno male per chi ha un handicap sia visivo che uditivo. Anzitutto il fenomeno era in una qualche misura sottovalutato, dato che recenti stime parlavano di appena 11,000 persone sordo-cieche in Italia, mentre l’indagine compiuta dall’ ISTAT parla di un numero circa 17 volte superiore: va comunque sottolineato che in questo computo sono comprese persone molto anziane. Ben tristi sono le statistiche sul 55% dei sordo-ciechi che rimane confinato tra le mura di casa, e sul 70% che non sono in grado di badare a se stessi. Il 40% soffre di insufficienza mentale, il 33% soffre di disturbi del comportamento, del resto è impossibile che una persona che cresce nel buio e nel silenzio, abbandonata a se stessa oppure curata con metodi inadeguati, riesca a sviluppare un’intelligenza e una capacità di interagire con altre persone accettabile.
Sistemi di comunicazione alternativi
Diverse cose possono essere fatte, per migliorare la vita delle persone sordo-cieche, come dimostra anche l’esempio di Helen Keller che però, è stata avvantaggiata anche dall’aver visto e sentito perfettamente nei primi due anni di vita, il che le ha permesso di acquisire degli “imprinting” adeguati. Nel caso che uno dei due sensi, vista oppure udito, sia presente in misura ridotta, le cose sono un po’ più semplici: in questo caso gli sforzi debbono essere diretti ad potenziare il senso residuo mediante degli ausili, come occhiali, lenti, telefoni e tastiere speciali per chi vede poco, e impianti acustici per chi sente poco. Anche per chi è completamente privo di entrambi i sensi esistono comunque degli efficaci sistemi di comunicazione, citiamo i più significativi:
Malossi: Ad ogni lettera dell’alfabeto corrisponde un particolare modo di toccare oppure di pizzicare la mano della persona sordo-cieca oppure del suo interlocutore;
Tadoma: La persona sordo-cieca appoggia il pollice sulle labbra e il palmo della mano sulle guance della persona che le sta parlando, naturalmente avendo cura di non ostacolare la sua dizione; in questo modo può “sentire” i movimenti delle sue labbra.
Comunicazione comportamentale: La persona sordo-cieca può farsi capire tramite movimenti del corpo, gesti spontanei ed espressioni del viso; chiaramente però questo è un metodo di comunicazione che funziona solo in una direzione, perchè la persona sordo-cieca non può osservare i movimenti e le espressioni delle altre persone.
Le sole mani per comprendere il mondo
La sfida più difficile è però quella di aiutare i piccoli che non sentono e che non vedono a decifrare nel modo più verosimile possibile il mondo circostante, ovvero a formarsi un’idea dell’ambiente nel quale si trovano, delle persone che li circondano, delle possibili interazioni con entrambi, ecc.
Barbara Miles, un’esperta insegnante/consulente di comunicazione, e con molta esperienza nel trattamento delle persone sordo-cieche, afferma in un passo di un interessante discorso riportato (in inglese) sul sito della Perkins School for the Blind: “Per un bambino che è sordo-cieco, le mani sono i suoi occhi. Una persona che ci vede, usa le sue mani per afferrare gli oggetti, per scrivere sulle tastiere, per mangiare; una persona sordo-cieca le usa non solo per tutti questi scopi, ma anche come “occhi” per carpire delle informazioni, per esplorare il mondo circostante ed entrare in comunicazione con esso. Spesso, usa le mani anche a mo’ di orecchie. A volte, si vedono bambini sordo-ciechi cercare con le mani la gola delle altre persone per decifrare i suoni che essa emette, una sorta di funzione uditiva delle mani. Ancora, per un bambino sordo-cieco, molto spesso le mani devono svolgere anche la funzione di voce, perché molti di essi imparano il linguaggio dei segni. Molti di loro certamente, gesticolando, indicando oppure afferrando oggetti, usano le loro mani in modo simile a come noi usiamo la nostra voce“.
Salvare i bimbi dalla passività completa
Insomma, laddove gli altri bambini hanno a disposizione occhi, orecchie e mani per decifrare il mondo circostante e per potere, di conseguenza, interagire con esso, i bimbi sordo-ciechi hanno a disposizione soltanto le due mani, o poco più, visto che i sensi dell’olfatto e del gusto servono relativamente. La presa di contatto con il mondo esterno tramite il solo senso del tatto, chiaramente, avviene in modo meno spontaneo che nei bambini senza handicap, e necessita quindi una supervisione continuativa da parte di genitori e terapisti. D’altronde, un sostegno esterno è indispensabile al fine di rendere il bambino consapevole del mondo circostante e di salvarlo da una vita vissuta in modo completamente passivo quale, ci dicono le statistiche citate all’inizio, purtroppo risulta essere a tutt’oggi la vita della maggior parte degli italiani sordociechi.
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