I dati dell’Osservatorio Nazionale sulla salute nelle regioni italiane
I dati del Rapporto Osservasalute dell’ Osservatorio nazionale sulla salute nelle Regioni italiane 2015 sembrano confermare la correlazione tra povertà e mortalità. Si muore prima non solo per la scarsa prevenzione ma per la ripartizione delle risorse. Se i dati si leggono Regione per Regione, si vede come nel Sud d’Italia si vive dai 3 ai quattro anni di meno e allora la motivazione principale va ricercata, non tanto nel basso tasso di vaccinazioni e di controlli preventivi, ma nella crescita di cittadini che rinunciano a curarsi per ticket eccessivamente costosi. Si tratta di cittadini che vivendo in Regioni con un Pil basso e con una tassazione elevata, non hanno neanche la possibilità di rivolgersi alla sanità privata per una diagnosi tempestiva, con tutte le conseguenze negative che ne derivano in termini di benessere e con un inevitabile incremento di mortalità. L’Osservatorio Nazionale sulla Salute nelle Regioni Italiane monitora, dal 2003, lo stato di salute della popolazione italiana e l’impatto dei determinanti organizzativi e gestionali su cui si fondano, ad oggi, i Servizi Sanitari Regionali.
Come è strutturato il Rapporto
Leggiamo e riportiamo la sintesi del Rapporto “Il Rapporto è suddiviso in due parti: la prima è dedicata a tematiche riguardanti la salute ed i bisogni della popolazione e la seconda ai Sistemi Sanitari Regionali ed alla qualità dei servizi offerti. L’obbiettivo è quello di raccogliere dati oggettivi e scientificamente rigorosi e di metterli a disposizione della comunità scientifica nazionale ed internazionale e dei decisori, affinché possano adottare azioni tempestive e razionali per migliorare la salute e soddisfare i bisogni delle popolazioni di riferimento. I dati analizzati nel Rapporto Osservasalute 2015, analogamente agli anni passati, evidenziano come lo stato di salute degli italiani sia complessivamente buono. Gli effetti del processo di invecchiamento continuano a manifestarsi e questo ha riflessi sul numero di malati cronici e, in generale, sui bisogni di salute che si traducono poi in domanda di assistenza. Sebbene in lieve diminuzione la percentuale di soggetti con stili di vita non salutari (abitudine al fumo, consumo di alcol e sedentarietà), emerge chiaramente la necessità di incentivare l’offerta e l’adesione ad attività di prevenzione primaria e secondaria, quali vaccinazioni e screening, e politiche socio-sanitarie ad hoc che fronteggino i bisogni sanitari di una popolazione sempre più “vecchia” ed affetta da più patologie contemporaneamente. Permangono negli ambiti indagati, spesso intensificandosi, le differenze tra macroaree geografiche, tra singole regioni e tra uomini e donne. Le differenti scelte programmatorie a livello regionale, l’organizzazione e gestione dei servizi sanitari basata su scenari finanziari in molti casi problematici, determinano una eterogeneità che influisce sulla qualità dell’offerta dei servizi erogati e sull’equità dell’accesso. Le regioni più in difficoltà sono ancora le regioni del Meridione e lo scenario è certamente aggravato dalle ripercussioni della crisi economica principalmente sugli stili di vita e, quindi, sulla qualità di vita dei cittadini, soprattutto di quelli meno abbienti. Sebbene gli indicatori presentati evidenzino diversi aspetti negativi, è necessario che essi siano utilizzati come spunto di riflessione e miglioramento, come base per l’attività programmatoria e per le scelte future. È fondamentale la collaborazione tra le Istituzioni, i professionisti sanitari ed i cittadini, sia a livello nazionale che regionale, affinché siano attenuati i differenziali di salute ed un’adeguata ed equa assistenza sanitaria sia garantita a tutti i soggetti, indipendentemente dal luogo di residenza e dallo status socio-economico. Gli ultimi dati si vanno ad aggiungere a quelli contenuti in precedenti studi ed analisi di altrettante prestigiose università. Cifre che danno ragione a quanti da anni chiedono che il riparto del finanziamento sanitario avvenga non più o non soltanto secondo criteri anagrafici, ma tenendo conto degli indicatori socio- economici e dei tassi di mortalità tra i cittadini. Dati che impongono un cambiamento nella politica di compartecipazione della spesa sanitaria, perché i ticket oggi sono sempre meno strumento di contenimento della spesa e sempre più un serio ostacolo all’accesso alle cure, in particolare nelle Regioni più povere. Occorrerebbe garantire cure gratuite soltanto alle fasce di reddito più basse e né l’evasione fiscale, piaga che questo Stato sembra non riuscire mai a sanare, può essere un alibi per lasciare milioni di cittadini privi del diritto alla salute“.