La povertà incombe anche sulle cure sanitarie
Sono 11 milioni gli italiani che rinunciano alle cure. In due anni è aumentata di 80 euro a persona la spesa che gli italiani sono costretti a pagare solo per curarsi. Infatti pagare per curarsi è ormai un gesto quotidiano che compie solo chi può permetterselo. Di conseguenza, in tanti devono rinunciare o rinviare: nell’ultimo anno sono stati undici milioni gli italiani che non hanno potuto occuparsi della propria salute. Lo afferma una ricerca Censis-Rbm. I numeri sono in forte aumento: nel 2012 erano 9 milioni gli italiani che avevano dovuto rinviare o rinunciare a prestazioni sanitarie per difficoltà economiche. Oggi si è arrivati al “niente cure senza soldi”. Un problema che riguarda soprattutto anziani (2,4 milioni) e i nati tra gli anni ‘80 e il 2000 (2,2 milioni). «È chiaro che il Sistema Sanitario deve fare i conti con la grave crisi economica che le famiglie stanno vivendo e che questa indagine Censis ci conferma la necessità di difendere l’aumento previsto del Fondo Sanitario per il 2017-18 che intendiamo utilizzare tra l’altro per sbloccare il turn over e stabilizzare il personale sanitario precario, rifinanziare il Fondo per l’epatite C, coprire i costi dei nuovi farmaci oncologici e garantire a tutti i cittadini accesso gratuito alle cure. Deve essere chiaro a tutti che non si possono fare le nozze con i fichi secchi» ha detto alla stampa il ministro della Salute Beatrice Lorenzin. Quello degli italiani che rinunciano alle cure, aggiunge il ministro, «è un problema conosciuto, per la cui soluzione stiamo operando da tempo con il Ministero dell’Economia, le Regioni e i professionisti del Servizio sanitario nazionale».
Liste d’attesa e livelli essenziali di cura
La soluzione, prosegue, «passa da una profonda riorganizzazione del sistema delle liste di attesa, soprattutto in alcune regioni. L’obiettivo è quello di uniformare l’intero territorio su standard elevati, così da permettere a ciascun cittadino di ottenere in tempi rapidi le prestazioni sanitarie di qualità». Il problema delle liste d’attesa potrebbe essere legato alle nomine in ambito sanitario: «Ho intenzione di proporre l’inserimento nel mio decreto legislativo sulla nomina dei Direttori Generali delle aziende sanitarie di una norma che imponga di valutare i manager anche in relazione agli obiettivi di riduzione delle liste d’attesa» ha spiegato Lorenzin. Un altro provvedimento che faciliterà l’accesso alla sanità pubblica è quello legato ai nuovi Livelli essenziali di assistenza (Lea), «con l’ingresso nel Servizio Sanitario Nazionale di nuove prestazioni gratuite che si attendono da quindici anni». Un obiettivo, ricorda il ministro, per il quale «ho fatto stanziare in Legge di stabilità 800 milioni di euro all’anno. Da molte settimane il provvedimento è all’esame della Ragioneria Generale dello Stato, da cui sto attendendo il via libera».
Restando in tema di qualità sanitaria, 5,4 milioni di italiani nell’ultimo anno hanno ricevuto prescrizioni di farmaci, visite o accertamenti diagnostici che si sono rivelati inutili. C’è da registrare che il 51,3% si dichiara contrario a sanzionare i medici per questo motivo (ma l’ipotesi delle sanzioni non è mai diventata realtà). Il decreto sull’appropriatezza (che vuole appunto eliminare le prescrizioni inutili), si legge nel rapporto, «incontra l’ostilità dei cittadini, che sostengono la piena autonomia decisionale del medico nello stabilire le terapie, anche come baluardo contro i tagli nel sistema pubblico». Il 64% degli italiani è contrario alla norma: il 50,7% perché ritiene che solo il medico può decidere se la prestazione è effettivamente necessaria e il 13,3% perché giudica che le leggi sono motivate solo dalla logica dei tagli. Prevale quindi la sfiducia nelle reali finalità dell’“operazione appropriatezza”, interpretato dagli italiani come «uno strumento per accelerare i tagli alla sanità e trasferire sui cittadini il costo delle prestazioni».
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