Nel clima torvo di questi anni in cui si sta cercando di annebbiare i valori della cooperazione sociale, un barlume di luce sulla buona cooperazione è venuto dall’incontro che Papa Francesco ha voluto riservare il 25 febbraio scorso alla Comunità di Capodarco. «La discriminazione in base all’efficienza non è meno deplorevole di quella compiuta in base alla razza o al censo o alla religione», ha affermato Francesco, secondo il quale «la qualità della vita all’interno di una società si misura, in buona parte, dalla capacità di includere coloro che sono più deboli e bisognosi, nel rispetto effettivo della loro dignità di uomini e di donne. E la maturità si raggiunge quando tale inclusione non è percepita come qualcosa di straordinario, ma di normale». In questa prospettiva, «anche la persona con disabilità e fragilità fisiche, psichiche o morali, deve poter partecipare alla vita della società ed essere aiutata ad attuare le sue potenzialità nella varie dimensioni», perché «soltanto se vengono riconosciuti i diritti dei più deboli, una società può dire di essere fondata sul diritto e sulla giustizia». «In questi decenni, la vostra Comunità si è costantemente messa in ascolto attento e amoroso della vita delle persone, sforzandosi di rispondere ai bisogni di ciascuno tenendo conto delle loro capacità e dei loro limiti», ha riconosciuto il Papa.
«No» a pietismo e assistenzialismo, «sì» a «protagonismo» degli «sconfitti della vita». Questa, nelle parole del Papa, la sintesi dell’«approccio ai più deboli» scelto dalla Comunità di Capodarco, che «supera l’atteggiamento pietistico e assistenzialistico, per favorire il protagonismo della persona con difficoltà in un contesto comunitario non chiuso in sé stesso ma aperto alla società». «Vi incoraggio a proseguire su questa strada, che vede in primo piano l’azione personale e diretta dei disabili stessi», l’incoraggiamento di Francesco: «Di fronte ai problemi economici e alle conseguenze negative della globalizzazione, la vostra comunità cerca di aiutare quanti si trovano nella prova a non sentirsi esclusi o emarginati, ma, al contrario, a camminare in prima linea, portando la testimonianza dell’esperienza personale».
Nel suo saluto, don Vinicio Albanesi ha ringraziato il Pontefice “per la sensibilità e l’attenzione nei nostri confronti”. Ed ha aggiunto: “siamo qui presenti da tutta Italia: dal Veneto alla Sicilia, dalle Marche, dall’Umbria, da Roma alla Calabria, ma anche dai paesi dell’Africa, rifugiati nel nostro Seminario di Fermo: insieme ai genitori preoccupati del futuro dei loro figli, ai nostri Parrocchiani, a quanti con noi credono e agiscono nel rispetto delle persone, senza scarti, come lei spesso ripete. Le chiediamo – aggiunge – dopo la Evangelii Gaudium e Laudato si, una sua riflessione sulla dignità della persona, immagine di Dio. Il mondo sembra rinchiudersi in dettagli sempre più ristretti e angusti, preoccupati solo del loro esistere. Sarebbe bello un Sinodo incentrato sulle capacità umane, anche se frammisto a debolezze e contraddizioni”. Una giornata memorabile per la numerosa delegazione di ospiti e familiari delle diverse strutture italiane (circa 2800 persone), guidate dal presidente don Vinicio Albanesi, dal fondatore della Comunità, don Franco Monterubbianesi, e dal vescovo di Fermo S.E. Mons. Luigi Conti, per l’udienza privata con Papa Francesco.“Per la prima volta, negli ultimi decenni della storia della Chiesa, – ha spiegato don Vinicio Albanesi – un Papa ha detto che aiutare gli altri non è solo un impegno morale ma di fede. Francesco ha smantellato, infatti, quelle opere di carità che sembrano un surplus da donare quando uno ha qualcosa in abbondanza, tipo elemosina”. “Con questa udienza – ha concluso don Albanesi – abbiamo ricevuto da Papa Francesco una grande consolazione. Ci ha accolti con molta facilità, dedicandoci un’udienza tutta per noi”.