Rapporto Censis 2016 sul sistema sanitario: la regione Lazio “un malato sempre più grave”
«La sanità regionale del Lazio è un malato sempre più grave al quale non vengono prestate le cure adeguate». È senza appello il quadro che emerge dall’ultimo Rapporto Rbm – Censis sul sistema sanitario, pubblicato a fine luglio 2017. Un quadro allarmante che, con facendosi forza con i dati, sembra smentire del tutto la situazione soddisfacente illustrata alla stampa in più occasioni dal presidente della Regione Zingaretti. Il Rapporto di ricerca si basa su un’indagine effettuata dal Censis su un campione rappresentativo della popolazione italiana maggiorenne (1.000 interviste).
LINK AL RAPPORTO DA QUOTIDIANO SANITÀ
Per quanto riguarda il Lazio, ci sono alcune cifre sulla qualità e l’accessibilità del Sistema sanitario regionale che lo classificano come “low performer” (scadente) nel rapporto tra lo stato di salute della popolazione e la spesa sanitaria per cittadino, ovvero con un voto insufficiente pari a 5,60/10 e una spesa pro capite di 2.599,88 euro.
Risulta anche insoddisfacente, e all’ultimo posto su scala nazionale, anche il rapporto tra tempi medi di attesa per prestazione e spesa sanitaria per cittadino, in cui addirittura il Lazio è “Worst perfomer” (il peggiore), con un tempo medio di attesa di 82,54 giorni e spesa sanitaria pro capite di 2.461,31 euro.
Se poi nel rapporto si analizza il dato relativo ai cittadini che hanno rinunciato alle cure, siamo nella sfera dell’allarme rosso. Ben 1.836.148 persone hanno dovuto rinunciare a curarsi.
Tralasciando per ora il Lazio, augurando a questa regione futuri tempi migliori di amministrazione in tema sanitario, vediamo cosa accade a livello nazionale.
La spesa sanitaria privata annuale a 35,2 miliardi di euro, in crescita più della spesa per consumi in generale nel 2013-2016 (+4,2% di contro a +3,4%) e 12,2 milioni di persone che rinviano e/o rinunciano a prestazioni sanitarie in un anno dimostrano che oggi il fabbisogno sanitario degli italiani non trova piena copertura nell’offerta di servizi e prestazioni del servizio sanitario pubblico. Gli italiani ormai devono ricorrere sempre più spesso all’acquisto di servizi e prestazioni sanitarie appropriate per esigenze che non trovano nel pubblico risposte adeguate, a causa della lunghezza delle liste di attesa o perché risiedono in un territorio in cui certe prestazioni non sono erogate o hanno una qualità inadeguata.
Oggi nei bilanci delle famiglie è presente in modo stabile e trasversale ai gruppi sociali, una voce di spesa per la salute che è più penalizzante per le persone a basso reddito, per quelle che più hanno bisogno di cure, dagli anziani ai malati cronici ai non autosufficienti, e per quelle che risiedono nei territori a maggior disagio e con servizi sanitari meno performanti (come la regione Lazio, una delle regioni con maggior ricorso al cosiddetto “turismo sanitario”). E chi non dispone delle risorse necessarie per pagare per intero di tasca propria le prestazioni finisce per rinunciare a curarsi.
E intanto si vanno ampliando le differenze tra le sanità regionali, non solo nella valutazione dei cittadini, ma anche nei valori di indicatori più strutturali degli esiti come mostra, ad esempio, la quota di malati cronici in buona salute che nelle regioni meridionali è inferiore a quella delle regioni del Centro-Nord e, soprattutto, è letteralmente crollata negli ultimi anni. Nel Rapporto si legge che: «la retorica dell’universalismo del Servizio sanitario pubblico è un guscio vuoto di fronte alle evidenti diversità di accesso alla tutela della salute e alle cure, e alla moltiplicazione degli effetti di razionamento dei principali deficit del Servizio sanitario stesso. Il rapporto con la salute è oggi segnato dalle disuguaglianze sociali e, a sua volta, il funzionamento della sanità amplifica le disuguaglianze stesse, in netta controtendenza con la funzione storica del Servizio sanitario e del welfare di rendere la società più coesa, meno divisa e meno ingiusta garantendo a tutti, a prescindere dal reddito e da altri fattori di differenziazione socioeconomica, culturale o territoriale, l’eguale diritto alla salute e alla cura».
Il Rapporto denuncia che nel 2016:
- 13 milioni di italiani hanno avuto difficoltà economiche con, ad esempio, una riduzione del tenore di vita;
- 7,8 milioni di italiani hanno dovuto utilizzare tutti i propri risparmi e/o indebitarsi con parenti, amici o presso banche, istituti di credito vari;
- 1,8 milioni di persone sono entrate nell’area della povertà, sono i “saluteimpoveriti”. Si possono stimare in 6,5 milioni gli italiani che dichiarano che nell’ultimo anno si sono rivolti a vario titolo al sistema sanitario pubblico o privato di un’altra regione.
Il fatto che la regione che ospita la capitale del paese, il Lazio, sia fanalino di coda in tutti gli indicatori, dovrebbe far riflettere su un complessivo ripensamento in chiave inclusiva e solidale, delle politiche sanitarie.