A circa tre anni dall’approvazione del nuovo codice degli Appalti che contiene importanti innovazioni soprattutto in materia sociale e di politiche inclusive registriamo ancora grandi difficoltà da parte delle Amministrazioni Pubbliche a dare attuazione alle possibilità che la Legge ha previsto .
In particolare l’ art. 112 di cui al Dlgs 18 aprile 2016 n 50 che prevede una duplice modalità per le stazioni appaltanti a favore di politiche inclusive attraverso la possibilità di riservare il diritto di partecipazione alle procedure di appalto e a quelle di concessione a cooperative sociali e loro consorzi il cui scopo principale sia l’integrazione sociale e professionale delle persone con disabilità o svantaggiate o la possibilità di riservare l’esecuzione di appalti nel contesto di programmi di lavoro protetti quando almeno il 30 per cento dei lavoratori dei suddetti operatori economici sia composto da lavoratori con disabilità o da lavoratori svantaggiati. Queste modalità così come il richiamo all’articolo 112 sono stati spesso messi in discussione da politiche conservative preoccupate di garantire il principio astratto della libera competizione tra le imprese e soprattutto il principio di arrivare all’appalto con il prezzo più basso.
In particolare alcune Procure che su questo fronte anche a seguito di alcune inchieste che hanno visto coinvolte alcune cooperative sociali hanno adombrato reati dietro agli affidamenti a cooperative sociali intravedendo reati di collusione e di turbative.
A seguito di questo anche l’ANAC nelle sue direttive ha voluto interpretare e limitare questo articolo a situazioni ristrette e/o marginali sconsigliando vivamente l’adozione di pratiche che non prevedano la competizione più ampia tra le imprese.
Si tratta di interpretazioni in questo caso non solo fuorvianti dallo spirito del legislatore e della stessa Comunità Europea che nelle sue direttive alla base del nuovo codice degli appalti già prevedeva queste specifiche opportunità per favorire l’impiego di categorie svantaggiate e delle persone disabili.
Le stazioni appaltanti intimorite in generale hanno quindi avuto difficoltà, ma anche qui si registrano comportamenti estremamente diversi che hanno finito per penalizzare i territori del Centro Sud rispetto alle aree del Nord dove invece è molto più radicata la funzione sociale dell’economia e l’idea di un welfare diffuso.
Una discriminante che corre il rischio di indebolire ulteriormente il terzo settore e la cooperazione sociale dei territori meno avvantaggiati che corre il rischio di far scomparire l’impresa sociale locale lasciata spesso a competere all’ultimo sangue sul prezzo senza clausole qualificanti e che deve subire anche l’invasione di cooperative ed imprese provenienti da altri territori mentre a loro è inibito recarsi altrove.
Al riguardo basta citare le gare promosse recentemente dall’Azienda Sanitaria Universitaria Integrata di Trieste per la gestione dei flussi informativi e dei servizi di sportello CUP che segue diversi bandi indetti in Regioni prevalentemente del Nord e del Centro Nord per diversi milioni euro. Una gara riservata a cooperative sociali iscritte all’Albo Regionale del Friuli Venezia Giulia e che abbiano una sede operativa nel territorio di Trieste.
Viceversa nel territorio del Lazio si sono dovute subire le partecipazioni di imprese anche non sociali sulle stesse categorie di lavoro spesso aggiudicate con la logica del prezzo più basso.
Al riguardo non possiamo non pretendere una maggiore attenzione delle Istituzioni locali che hanno in mano una chiave importante nel momento in cui decidono un appalto sociale e che spesso sono troppo fuorviate dalle dinamiche del prezzo senza badare al ritorno sia economico che sociale che da un appalto aggiudicato in modo equo valorizzando l’impresa sociale locale si avrebbe sul territorio.