Ires, non profit: all’esecutivo giallo-verde non piace il Terzo Settore?

Da sinistra, Matteo Salvini, Lega, Ministro dell'Interno, Giuseppe Conte, Presidente del Consiglio, Luigi Di Maio, ministro dello sviluppo economico e ministro del lavoro e delle politiche sociali, M5S (Fonte, Presidenza del Consiglio dei Ministri con Immagini messe a disposizione con licenza CC-BY-NC-SA 3.0 IT)
Da sinistra, Matteo Salvini, Lega, Ministro dell’Interno, Giuseppe Conte, Presidente del Consiglio, Luigi Di Maio, ministro dello sviluppo economico, del lavoro e delle politiche sociali, M5S (Fonte, Presidenza del Consiglio dei Ministri con Immagini messe a disposizione con licenza CC-BY-NC-SA 3.0 IT)

Ires Non Profit. Nella manovra di bilancio del governo a trazione M5S e Lega, approvata dalle Camere, raddoppia l’Ires per il Terzo settore. Provvedimento in odore di incostituzionalità che provoca una levata di scudi del mondo non profit. Con relativa marcia indietro dell’esecutivo tutto. Correzione a gennaio. Peccato che il provvedimento poteva essere emendato in fase di approvazione. Se ce ne fosse stata dal principio la volontà. E nessuno ci ha provato

Il non profit nel mirino del governo giallo-verde? Il raddoppio dell’Ires per i soggetti del terzo settore, contenuto nella legge di bilancio 2019, fa sorgere questo sospetto, ma sono tanti i segnali in questo senso arrivati dall’esecutivo nei mesi passati. Ed anche prima, durante la lunga, estenuante e mai conclusa campagna elettorale che ha portato alla rivoluzione “politica” del 4 marzo 2018.

Cosa è l’Ires e cosa sono le non profit

L’Imposta sui Redditi delle Società, Ires, è una tassa sugli utili delle imprese che, negli anni 2000, ha sostituito l’Irpeg. In quanto soggetti giuridici, anche le cooperative, le associazioni e gli altri enti riconosciuti come non profit, pagano l’Ires, anche se in forma ridotta alla metà rispetto a quella ordinaria, come stabilito dalla legge 398 del 1991.

La norma della fiscalità agevolata non è un’astrazione, ma ottemperanza all’articolo 45 della Costituzione Italiana.

Un’organizzazione senza fini di lucro è un soggetto giuridico che per statuto reinveste i propri utili  interamente per gli scopi per cui è stata creata.

Questo significa che un soggetto non profit, al di là di quelli che siano i suoi scopi statutari, non crea ricchezza per i suoi stakeholder, ma sviluppo per la comunità ed il territorio all’interno dei quali opera. Questa norma sull’Ires parificata alle imprese ordinarie significa, in soldoni, per fare un esempio, che l’associazione di volontariato, di prossimità, che opera gratuitamente sul vostro territorio, magari grazie a donazioni o alla contribuzione stessa dei suoi volontari, si troverà a pagare il doppio di tasse per offrire gli stessi servizi. Così come le cooperative sociali che lo fanno, in convenzione, con le pubbliche amministrazioni.

Beppe Grillo (profilo Facebook)

Per questo motivo a tali soggetti giuridici – Organizzazioni di volontariato, Associazioni di promozione sociale, Cooperative sociali, Fondazioni di diritto civile e di origine bancaria, Organizzazioni non governative (ONG), Organizzazioni non Lucrative di Utilità Sociale (Onlus) ed Imprese Sociali – a patto di rispettare regole e controlli molto severi sul proprio operato ed il proprio bilancio, viene riconosciuto un trattamento fiscale privilegiato rispetto alle imprese ordinarie, che non sono, invece, tenute a rispettare questi vincoli e distribuiscono gli utili prodotti tra chi le possiede o le controlla. Secondo alcune interpretazioni, tra gli enti non profit sarebbero da includere anche le aziende sanitarie ed ospedaliere e gli Irccs pubblici e privati. Con la norma introdotta dalla finanziaria tutti questi soggetti giuridici sarebbero tenuti a pagare interamente l’Ires sottraendo loro risorse da investire negli scopi statutari. Con conseguenze evidenti sulla loro capacità di sviluppare le proprie attività in favore delle comunità e dei territori ove operano.

Il rapporto controverso tra M5S e non profit

Il Movimento 5 Stelle si è sempre fatto vanto di non essere un partito tradizionale, ma un movimento che parte dal basso, dall’associazionismo, dal volontariato e dal territorio. Realtà da cui provengono molti dei suoi esponenti più importanti e tanta parte della sua base elettorale.

In effetti il M5S, stesso è un’associazione, come lo è, di fatto, la piattaforma Rousseau, attraverso cui gli iscritti esercitano la democrazia diretta on line. Ci si aspetterebbe, quindi una particolare sensibilità del movimento agli interessi del mondo del non profit. Purtroppo così non è.

Luigi Di Maio, oggi Ministro dello sviluppo economico, ed i 5s in toto, con grillo in testa, hanno accusato più volete le cooperative di connivenza con il mondo politico e di “concorrenza sleale” nei confronti delle imprese profit, in virtù della fiscalità agevolata di cui godono. Di più.

Sulla scia dello scandalo di “mafia capitale” e del lungo e complesso iter legislativo dell’attesa riforma del Terzo Settore, i 5S hanno chiesto a gran voce che venisse fatto divieto alle non profit di finanziare la politica. Norma che, del resto è tra le prime, e tra le poche, che hanno approvato una volta arrivati al governo, sebbene attraverso un emendamento di FdI nel decreto anti-corruzione.

Luigi Di Maio, M5S, Vicepremier e ministro dello sviluppo economico e ministro del lavoro e delle politiche sociali (fanpage facebook)

In campagna elettorale, e subito dopo le elezioni politiche del 2018, si esaurisce gradualmente la minaccia di “pianto e lo stridor di denti” nei confronti del mondo cooperativo ed iniziano le prove di dialogo. I 5s,a guida Di Maio, premier “in pectore” di un partito, ormai di maggioranza relativa, iniziano una campagna di avvicinamento al mondo cooperativo. Con strette di mano e pacche sulle spalle alle kermesse delle grandi “Centrali Coop“, in cui l’attuale vicepremier è stato trattato, sebbene ancora con una certa diffidenza, da ospite di onore.

Superata la difficile formazione di un governo di “contratto” insieme alla Lega, sulle cooperative il vicepremier torna solo per annunciare un piano che punta a “stanare” le false cooperative sociali.

Sacrosanto, si direbbe. Se non fosse che, per contenere il fenomeno – interessa circa 100 mila lavoratori della cooperazione, contro i 3 milioni e 300 mila delle false imprese del settore “tradizionale” – utilizzate queste, spesso, per il riciclaggio di denaro “sporco” e l’elusione della fiscalità e della contribuzione previdenziale ed assicurativa – sarebbe sufficiente fare i controlli ed applicare le norme già esistenti.

Non leggi ad hoc, che avviliscono un settore che, negli anni della crisi economica ed occupazionale, si è rivelato essere un solido motore di sviluppo per il “Sistema Paese“, vicino ai bisogni dei territori, delle comunità e, soprattutto, dei più fragili.

Perché, quindi, partire con campagne di criminalizzazione generalizzata, che a nulla servono, se non ad evidenziare una scarsa conoscenza della realtà del settore della cooperazione, della sua importanza nell’economia e nella società del Paese?

Infografica, il valore del Terzo settore per il Paese (Fonte Ministero del Lavoro Istat)

Terzo settore, motore del Paese

Soprattutto, se le cifre evidenziano che le imprese cooperative, sociali e non (le prime sono quasi 15 mila le seconde circa 50 mila), rappresentano poco più dell’1,3o per cento del totale dei circa 4 milioni e 300 mila imprese di ogni dimensione e forma giuridica operanti in Italia (dati Istat 2016) ed i loro addetti risultano essere complessivamente poco più di un milione 150 mila (Dati Euricse 2015) su un totale di 16 milioni e 400 mila degli occupati di tutte le imprese.

Ragionando sulle cifre degli occupati e dei fatturati, la presupposta “irregolarità” inciderebbe su poco più di un decimo delle imprese cooperative e, invece, per circa un quarto delle imprese ordinarie. Fate voi le proporzioni.

Senza contare il fatto che le imprese cooperative, con il loro 1,30 per cento del mercato, insieme al all’Intero Terzo Settore, occupano in percentuale più addetti delle imprese ordinarie medie e producono circa 75 miliardi di fatturato, i cui risultati, in termini sociali ed economici, sono reinvestiti su comunità e territori.

Ovvio prendersela con i più piccoli, quelli più controllati dal punto fiscale e contributivo e con meno voce. Perché frammentati sul territorio, ma che portano più ricchezza e sviluppo all’intero Paese, a questo punto, per trovare coperture di bilancio, piuttosto che con i grandi, campioni di elusione ed evasione fiscale e contributiva, di delocalizzazione. Quelli che si nutrono del credito delle banche, in un ottica speculativa e non di sviluppo dell’impresa per la comunità.

Matteo Salvini (fanpage facebook)

La Lega: il non profit è solo volontariato

Matteo Salvini, Ministro dell’Interno, la parte verde di questa originale alchimia di governo, è stato nel tempo ancora più esplicito nella sua acredine nei confronti del Terzo Settore.

Ha attaccato, a ripetizione, prima e dopo la sua ascesa all’esecutivo, le cooperative sociali e i soggetti del terzo settore, incluse realtà legate alle chiese, impegnati nell’accoglienza e l’inclusione dei migranti.

Sono solo volontari“, ha detto, negando, implicitamente, il valore di quello che il non profit fa per il Paese. Incluso quello economico del settore per il prodotto lordo (lasciando da parte il suo peso sociale ed occupazionale).

Un comportamento esemplare per avallare, per silenzio assenso, questo meccanismo di stritolamento indiretto del terzo settore, attraverso fiscalità ed altre norme avverse.

Dimenticando, a sua volta, però, che le cooperative, non solo quelle che gestiscono in convenzione l’ospitalità, ma anche quelle che stanno in strada ogni giorno per gestire le emergenze sociali sono dove lo Stato non c’è, e dovrebbe esserci.

Uno degli scopi del Ministero degli interni, che Salvini presiede – ma non presidia, visto che pare più impegnato in parate e tweet elettorali, cambiando casacca a seconda dell’occasione a scopo di propaganda mirata – è, infatti, proprio quello di monitorare, gestire e risolvere le emergenze, incluse quelle sociali, sul territorio del Paese.

Che dire poi della la norma, introdotta in finanziaria – pare proprio per impegno della Lega – che permette alle pubbliche amministrazioni di affidare appalti senza gara sotto i 150 mila euro. Discrezionale questa norma, ai limiti delle regole europee.

Sembra fatta apposta per eludere la trasparenza e l’onestà tanto invocate dai gialli (meno dai verdi, favorevoli a condoni e ad un fisco “distratto”) e favorire, discrezionalmente, le ditte di “magūtt” – tanta sabbia, poco cemento e molto nero – che hanno caratterizzato il cattivo costruire e gestire le infrastrutture ed il territorio dal nord al sud del Paese.

Cui si aggiunge un’altra “perla”: la decontribuzione Inail.

Ovvero, oltre ad appalti senza regole, meno oneri e regole sulla sicurezza sul lavoro. Con tutto ciò che ne consegue. Sul concetto di legalità all’epoca della Lega di popolo, patria e governo lascio a chi legge le considerazioni.

Certo è che con queste regole si rischia il far west. A farne le spese saranno i più deboli.

Vale la pena di ricordare che la Lega – a parte il caso dei 49 milioni di Euro di contributi pubblici ingiustificati che dovrebbe restituire e che sono scomparsi, almeno secondo quanto sostengono gli inquirenti e riciclati e fatti scomparire attraverso società estere in paradisi fiscali, scatole cinesi societarie e castelli associativi e fondazioni, secondo accreditate ricostruzioni giornalistiche – sarebbe coinvolta in almeno una delle “dazioni” alla politica dell’imprenditore edile – come si direbbe a Roma, da cui proviene, palazzinaro – Luca Parnasi.

La Lega ha approvato, insieme alla maggioranza, il divieto di contribuzione del non profit alla politica, che ci pure potrebbe stare, se non fosse per il principio costituzionale di parità tra soggetti giuridici: sulla base di quale principio si vieta ad uno quello che è permesso ad un’altro?

Poi, però, la Lega accetta (lo hanno fatto anche altri partiti e Fondazioni di partito) denaro da un’imprenditore, già in precedenza coinvolto in vicende giudiziarie, che aveva evidenti interessi in scelte in urbanistiche in cui era coinvolta, a vari livelli, l’attuale maggioranza di Governo.

Si tratta di un inspiegabile, o spiegabilissimo, cortocircuito di questa morale a senso unico del “vecchio” nuovo che avanza.

Facendo, però, finta che i mali del passato possano essere coperti da un bel selfie fuori del contesto di quello che di male sta accadendo al Paese che, si dice, sta cambiando.

Tutto cambia, nulla cambia“.

Ires non profit, le reazioni e non

Come detto, dopo le proteste autorevoli del mondo del terzo settore – Comunità di Sant’Egidio, Cnca, Legacoop, etc (inutile fare un elenco completo, sarebbe sterminato) – appoggiate apertamente dalla Cei, il triumvirato esecutivo – Conte, Di Maio e Salvini – si è, mano a mano, smarcato dalla responsabilità del provvedimento sull’Ires, riconoscendo che è stato un errore. Novità, si tratta di un errore e non di una manina. Un gesto di umiltà, che non insinua, per la prima volta, coraggiosamente, il fatidico intervento esterno. Ovvero non abbiamo capito quello che stavamo facendo, ma ora ne abbiamo consapevolezza. Abbiamo fatto una “cazzata”. Insomma.

Si rimedierà a gennaio 2019 con una norma ad hoc.

Si dice. Si aspetta. Si spera.

Questo nonostante l’entusiasmo di qualche ultrà sfegatato del neo liberismo, più verde che giallo, come il Governatore del Veneto, Zaia, ed il ministro, di quello che resta, degli affari sociali, Fontana, che ancora deve rivelare il suo peso politico, la sua visione ed il suo scopo in questa compagine tanto spaginata.

Nessun commento dal ministro delle Finanze Giovanni Tria, che probabilmente ne sa qualcosa di più sulla “manina” che questa norma ha introdotto.

La fretta di raccattare risorse per una manovra che precipitevolissimevolmente è passata da un deficit strutturale del 3 per cento, al 2,4 e poi del 2,04 (la rima numerica è importante, se non altro ai fini della propaganda interna e contro la “perfida” Bruxelles).

Commenti autorevoli, non di parte (non di sinistra)

Gian Antonio Stella dalle pagine del Corriere della Sera il 23 dicembre ha aperto così il suo commento dal titolo “Manovra, per il governo il «non profit» è un bene di lusso”:

“Erano 65 anni che nessuno osava metter sullo stesso piano un’oreficeria di lusso, una multinazionale con 119 stabilimenti e il servizio ambulanze d’una valle alpina. La «finanziaria del popolo» l’ha fatto. Raddoppiando l’Ires al «non profit» per portarla al livello delle società che dal lucro sono mosse. Una scelta accolta dal mondo del volontariato come un pugno nell’occhio”

Leggere le motivazioni alla base del suo ragionamento, aiuta a capire le dimensioni del monstrum giuridico e fiscale che è stato creato dal governo giallo-verde.

Alla sua voce si aggiunge, quella, forse ancor più autorevole del fiscalista Giulio Tremonti, già Ministro delle Finanze dei Governi Berlusconi e padre del 5 x mille, in un’intervista a rilasciata a “la Repubblica” il 28 dicembre 2018:

“Quell’aumento è contro la costituzione, lo dice il padre del 5 per mille”

Motivando la sua affermazione con, semplicemente, che se si da con una mano ad un settore che si ritiene strategico, in base alla Costituzione, per lo sviluppo equo del Paese, non ha senso, e non è legale, nella sostanza, riprenderselo con l’altra.

Non si tratta certo di voci che si possono assimilare alla “casta” di sinistra, cui vengono attribuite i contrari al provvedimento. Un cortocircuito, quindi, quello causato da questa norma improvvida. Che deve far riflettere il Governo e non far abbassare i riflettori su ciò che fa. A chi lo ha votato e non.