La pubblica amministrazione conferma le sue cattive abitudini di pagamento nei confronti delle imprese fornitrici. Ma non solo. Diventa protagonista di una prassi ancor più dannosa per l’equilibrio finanziario delle pmi. Oltre a tempi di pagamento che toccano, per il Servizio sanitario nazionale, i 135 giorni, gli enti stanno facendo ostruzionismo nei confronti delle società di factoring, opponendosi alla cessione del debito con motivazioni pretestuose e slegate dalla fornitura. La ragione? Preferiscono relazionarsi con le piccole e medie imprese fornitrici per «negoziare» il debito o procrastinare l’incasso delle fatture piuttosto che dover fare i conti con i soggetti che operano nel factoring, sicuramente più strutturati e pronti ad adire le vie legali.
Lo scenario è stato descritto da Fausto Galmarini e Alessandro Carretta, rispettivamente presidente e segretario generale di Assifact, Associazione italiana per il factoring, che riunisce gli operatori del settore, nel corso dell’incontro annuale per la presentazione dei dati. Cifre che, anche quest’anno, descrivono un settore in forte crescita, basti pensare all’aumento fatto registrare nel 2018 (+8,32%) dal volume d’affari, che in Italia negli ultimi dieci anni è così raddoppiato (dai 121,935 miliardi di euro nel 2008 ai 240,039 nel 2018, con un tasso medio annuo del +7,19%). L’incontro è stato anche occasione per lanciare l’allarme pagamenti (i tempi medi sono fra i peggiori in Europa, sia tra privati sia tra privati e p.a.); per stimare gli impatti del Nuovo codice della crisi di impresa sul comparto e per sottolineare fenomeni emergenti quali il reverse factoring. Questo strumento in Italia oggi rappresenta il 9% delle operazioni (ma con un balzo del 36% nel 2018 rispetto al 2017). Si chiama reverse perché, appunto, è il debitore che promuove la cessione alla società di factoring dei crediti commerciali vantati dai suoi fornitori. Si tratta di una sorta di «esternalizzazione» della gestione delle fatture e si utilizza nella catena della fornitura per iniziativa dell’impresa leader della filiera. A favorire lo slancio del reverse factoring è la diffusione di piattaforme digitali ad hoc, in molti casi create da startup innovative che si moltiplicano in questo segmento emergente del fintech. Fintech che, a quanto dichiarato da Galmarini e Carretta, è assolutamente «complementare» e non concorrente in quanto assorbe fasce di clientela non soddisfatte da factoring.
Il ruolo del factoring per l’economia. Grazie alle operazioni di cessione le aziende possono incassare subito i propri crediti commerciali e ottimizzare la gestione del capitale circolante, anche attraverso anticipi, a costi competitivi rispetto ai finanziamenti bancari, senza rischiare di perdere liquidità causa ritardi dei pagamenti. La qualità del credito è elevata: non c’è, come nel settore bancario, recupero di crediti deteriorati. Le esposizioni deteriorate lorde (al 31/12/2018) rispetto al totale si riducono al 5,23%. L’incidenza delle sofferenze è del 2,25%
Essere meno a rischio significa che il factoring costa meno e i tassi sono inferiori rispetto a quelli bancari: «Il tasso effettivo globale medio è 5,01% per operazioni fino a 50 mila euro e soltanto 2,60% oltre 50 mila, rispetto ai tassi bancari che per anticipi e sconti risultano il 7,06% fino a 50 mila euro, il 5,03 da 50 mila a 200 mila e il 3,10% oltre 200 mila, tassi che per le aperture di credito in conto corrente salgono al 10,74% fino a 5 mila euro 8,40% oltre».
Allarme pagamenti e il caso sanità. Per onorare una fattura, una impresa italiana impiega, in media 56 giorni contro i 34 medi dell’Unione europea. Ancor più drammatica la media della pubblica amministrazione: 104 giorni contro i 40 medi dell’Ue. «L’elemento distonico è dato dal confronto tra i tempi di pagamento», commentano Carretta e Galmarini, «in quanto in Italia non ci sono neanche sanzioni morali per i cattivi pagatori, mentre in altri paesi, come per esempio gli Usa, è l’opposto. E ciò non avviene perché il principale cattivo pagatore è la p.a. stessa. E a nulla è valsa la normativa europea che prevede il pagamento di interessi di mora allo scadere dei 60 giorni».
Secondo le rilevazioni del Dap, il Database sulle abitudini di pagamento di Assifact, il tempo medio di pagamento di una fattura in Italia è di 74 giorni (34 giorni la media europea calcolata da Intrum Iustitia), con ritardi particolarmente gravi da parte della pubblica amministrazione. Il che, tradotto in soldoni significa che quasi 11 miliardi di crediti in essere degli oltre 67 complessivamente in portafoglio alle società di factoring (al 31/12/2018) vedono come debitori enti e aziende del settore pubblico. Il 37% circa dei crediti delle imprese è vantato verso le amministrazioni centrali e circa il 32% verso gli enti del settore sanitario. I crediti scaduti sono il 34% del totale, di cui il 67% scaduto da oltre un anno. Il 23% circa dei crediti vantati verso la pubblica amministrazione (quasi un quarto) è scaduto da oltre un anno.
Più nel dettaglio, il settore degli enti del Servizio sanitario nazionale detiene la maggiore quota di scaduti: il 41%. Ma, come ha segnalato il presidente Galmarini, «oltre alle lungaggini nei tempi di pagamento si sta purtroppo diffondendo un’altra cattiva abitudine che incide negativamente sulle imprese, che con le società di factoring sempre più spesso incontrano comportamenti di ostruzionismo alla cessione dei crediti che vantano verso enti del settore sanitario; i quali, in molti casi, rifiutano sistematicamente le operazioni di factoring o emettono delibere con cui dispongono un generale diniego e rifiuto per tutte le cessioni che dovessero pervenire all’ente, anche con l’indicazione di inserire nei contratti specifiche clausole di divieto di cessione dei loro debiti». Gli enti che nel periodo di osservazione (2017-2018) hanno opposto almeno un rifiuto di cessione dei propri debiti di fornitura non riconducibile a problematiche della fornitura o che hanno emanato delibere volte a non accettare più alcuna cessione dei propri debiti di fornitura sono 134 di 19 regioni, il 55% circa del totale degli enti del Ssn censiti da Assobiomedica. Come è possibile? «Questa facoltà», spiega Galmarini, «è concessa alle amministrazioni pubbliche dalla legge sul contenzioso amministrativo (legge 2248 del 1865) richiamata poi dal Regio decreto n. 2440 del 1923. Tuttavia era nata con lo scopo di non prosciugare le casse dell’impresa cedente. Oggi, non ha più ragion d’essere. Se non quella di evitare il confronto con le imprese del factoring».
La crescita del factoring. Dopo un 2018 in positivo, anche per il 2019 la prospettiva è di un ulteriore incremento. Basti pensare che nei primi mesi dell’anno il turnover, cioè il volume totale dei crediti ceduti, ha fatto segnare un +19,3% a gennaio e +21,7% a febbraio. Scontando l’effetto che su questi dati hanno avuto grandi operazioni, la stima per l’anno è del 4,75%.
L’Italia comunque fa la parte del leone con il 14% del mercato europeo e il 9% di quello mondiale. A livello europeo il volume d’affari del factoring ha raggiunto 1.729 miliardi di euro (+8% sul 2017). Incremento superiore al 5% anche a livello globale: nel mondo il factoring muove 2.730 miliardi di euro.
Il giro d’affari del settore in Italia oggi vale il 14% del pil. Vi fanno ricorso 33 mila imprese, quasi per metà (47%) piccole e medie, il 29% del settore manifatturiero.
L’impatto del nuovo codice della crisi d’impresa. Il nuovo codice (il dlgs 14/2019 che entrerà in vigore nel 2020), introduce novità importanti e positive nell’ottica di favorire il risanamento dell’impresa e la continuità aziendale. Ma non mancano criticità. In particolare, l’introduzione del sistema di allerta per consentire la pronta emersione della crisi. È previsto il ricorso e l’applicazione di specifici «indicatori della crisi» che aprono dubbi circa l’adeguatezza e la specificità di tali indicatori, per evitare il fenomeno di un numero potenzialmente molto elevato di imprese segnalabili tramite i sistemi di allerta. La presenza di indicatori di crisi predeterminati può scoraggiare, perché potenzialmente rischioso ai fini dell’azione revocatoria, l’intervento dei finanziatori. Il nuovo codice, inoltre, non ha purtroppo modificato le norme inerenti l’azione revocatoria nelle cessioni dei crediti verso corrispettivo a banche e intermediari e nemmeno coordinato il c.d. periodo sospetto della previsione di cui all’art. 7, 1° comma, legge n. 52/91 con la previsione dell’art. 166, 2° comma, Ccii.
Il presidente Galmarini evidenzia, fra le varie, la proposta di eliminare il rischio di revocatoria nelle operazioni di cessione di crediti commerciali contro pagamento del corrispettivo ex legge 52/91, tenuto conto della neutralità della cessione del credito dal punto di vista economico e dall’assenza di reali pregiudizi per gli altri creditori, né in termini di recuperabilità delle proprie ragioni di credito né in termini di preferenzialità di un creditore rispetto ad altri, quando il corrispettivo pattuito risulta nei limiti previsti dalla normativa fallimentare.
Galmarini sottolinea come da tale intervento «deriverebbero indubbi benefici alle imprese in termini di maggiore possibilità di accesso allo smobilizzo dei crediti, riduzione della tempistica di erogazione e dei costi. Infatti, Il factoring è uno strumento particolarmente adatto a finanziare piccole e medie imprese in crescita e che operano con clientela di qualità, grazie alla possibilità di far riferimento, ai fini del rischio e del pricing, al rating del debitore in relazione alla cessione del credito, in particolare pro soluto. Tuttavia, l’alea di incorrere nella revocatoria della cessione può rendere inefficace la traslazione del rischio sul debitore ceduto con evidenti danni all’impresa cliente. Eliminare tale rischio può rappresentare un importante stimolo alla ripresa economica, sfruttando al meglio le potenzialità del factoring».