I lavoratori italiani sono fra i più pessimisti d’Europa sull’impatto che le tecnologie e la digitalizzazione avranno nei prossimi dieci anni sulle loro attuali mansioni di lavoro, e se potessero tornare indietro sceglierebbero nella stragrande maggioranza dei casi una facoltà scientifica o tecnologica: sono le principali evidenze del Randstad Workmonitor, l’indagine trimestrale sul mondo del lavoro del colosso delle risorse umane, condotta in 34 Paesi del mondo su un campione di 405 lavoratori di età compresa fra 18 e 67 anni. Ne parla PMI
Il 37% (più di uno su tre) ritiene che la propria mansione sarà completamente automatizzata nei prossimi 10 anni, una percentuale più alta di tre punti percentuali rispetto alla media europea. Le donne e gli under 45 sono più pessimisti della media (rispettivamente, 39 e 38%), mentre questa convinzione è meno diffusa fra uomini (35%) e lavoratori senior (36%).
Malgrado questo, la maggioranza dei lavoratori italiani (69%) ritiene di avere gli strumenti necessari per gestire questa fase di digitalizzazione del lavoro, ma anche qui, il livello di fiducia in Europa e nel resto del mondo è più alto (78% la media globale). Gli unici paesi europei che registrano livelli di fiducia più bassi rispetto all’Italia sono Olanda, 65%, e Ungheria, 57%.
Diffusa l’impressione che le imprese non stiano investendo a sufficienza nei nuovi strumenti digitali: 67% in Italia, 68% nel mondo, livelli superiori al 70% in Spagna, Grecia, Polonia, Portogallo e Romania. Questa percezione è largamente più frequente fra gli uomini (73%, contro il 61% delle donne) e fra gli under 45 (68%, contro il 66% dei colleghi più anziani).
Percentuali alte anche in relazione alla carenza di competenze adeguate nel mondo del lavoro per affrontare le sfide della digitalizzazione. Si segnala una crescente richieste di formazione STEM (scienze, tecnologie, ingegneria e matematica), tanto che i lavoratori nella stragrande maggioranza dei casi consiglierebbero ai giovani di dedicarsi a queste discipline di studio. Non solo: se potessero tornare indietro, anche gli attuali lavoratori sceglierebbero università scientifiche o tecnologiche: il 72% del campione, soprattutto gli uomini (75%, +5% rispetto alle donne) e gli over 45 (76%, +7% rispetto ai giovani).
«Le imprese in futuro avranno sempre più bisogno di competenze digitali e STEM per gestire il cambiamento, ma spesso faticano a trovare candidati con un profilo adeguato» sottolinea Marco Ceresa, Amministratore delegato Randstad Italia, il quale propone anche una riflessione: «il fatto che tre lavoratori su quattro sarebbero disposti a modificare il proprio percorso di carriera per venire incontro alle esigenze di un mercato è, da un lato, un positivo segnale di consapevolezza e adattamento, dall’altro però, evidenzia un divario ancora ampio con i paesi più avanzati in termini di diffusione di queste competenze. Per colmare il gap, studenti e lavoratori devono attrezzarsi sviluppando e aggiornando le proprie competenze, ma anche le imprese devono fare la loro parte, aumentando gli investimenti in formazione».