Effetto Impresa Sociale, la cooperazione sociale di tipo B nel Lazio. Intervista a Mario “Dany” de Luca, Presidente della Cooperativa sociale Integrata Maggio’82, promotore dell’iniziativa.
Con questa intervista iniziamo un viaggio nel mondo della Cooperazione Sociale di inclusione lavorativa. Partendo da Roma, con l’ambizione di conoscere esperienze anche di altre regioni.
Lo scopo è comprendere lo stato di salute complessivo di questo settore produttivo, che ha un importante impatto sociale, ma che è anche lasciato un “po’ da parte” dalle Istituzioni che se ne dovrebbero occupare.
Questo sarà il tema del convegno “Effetto Impresa Sociale”, che si svolgerà a Roma il prossimo 18 febbraio 2020, presso la il Centro Convegni della Città dell’Altra Economia, in Largo Dino Frisullo snc, a Roma.
Incontriamo Mario Dany De Luca , presidente della cooperativa sociale integrata Maggio ’82, una delle realtà più “storiche” della Capitale, ed editore di sociale.it
Mario Dany De Luca, come nasce la Maggio ’82?[sociale.it]
Mario Dany De Luca [MDLC] La cooperativa nasce nel 1982 con l’obiettivo di realizzare l’inclusione lavorativa delle persone in condizione di svantaggio, in particolare quelle con disabilità.
Oggi siamo una cooperativa sociale di tipo B, d’inserimento lavorativo di persone svantaggiate, ma all’epoca la nostra nasce, insieme altre esperienze simili, come un’iniziativa imprenditoriale pionieristica. Soprattutto se si considera che la legge nazionale sulla cooperazione sociale, la 381 del 91, arriverà solo quasi 10 anni dopo e quella regionale del Lazio, la 24, addirittura nel 1996.
L’idea di creare una impresa che includesse a prescindere dalla condizione di disabilità, non nasceva dalla volontà di fare “beneficienza” per gli “handicappati, ma per dare risposta a dei bisogni, ai diritti fondamentali, quelli all’autonomia e alla vita indipendente, che trovano nel diritto al lavoro e alla socialità una base necessaria.
Una lotta, questa, che s’inscrive a pieno titolo nell’ambito del più ampio movimento per il riconoscimento dei diritti civili sociali che, a partire dagli anni ’60 del secolo scorso, ha coinvolto tutta la nostra società, incluse le persone con disabilità che volevano essere riconosciute come parte attiva nei processi sociali. Fino ad allora, nei confronti degli “inabili”, come venivano definiti nel lessico dell’epoca, esistevano solo interventi frammentari e settoriali. Negli anni successivi, si afferma un nuovo modo di concepire le persone con disabilità, non solo come destinatari di cura e di assistenza, ma come persona. Per la maggior parte delle persone con disabilità, soprattutto quelle in condizioni più gravi, il lavoro rimaneva, però, un miraggio per tanti motivi. Al di là delle condizioni “fisiche” e delle capacità lavorative di ciascuno, restava immutato il divario in termini di diseguaglianza nelle condizioni partenza. Per molti di loro, soprattutto con disturbi mentali e cognitivi, c’era poi un pesantissimo stigma sociale, solo nel 1978 la legge “Basaglia” avvierà, un lento ancorché incompiuto sgretolamento.
Ecco, le persone con disabilità vivevano, diciamolo, ancora in un mondo a parte, per lo più, di fatto, escluse dalla società. Per questo motivo, in tutta Italia, gruppi di attivisti, le famiglie, le comunità di base, religiose e non, maturarono in quegli anni la consapevolezza che le leggi potevano servire, ma che per essere efficaci e produrre un cambiamento effettivo, occorreva rendere le persone con disabilità parte attiva nella società. Ecco quindi il lavoro come strumento di socialità, non solo di produzione di reddito e, di conseguenza, di dignità. In quel momento nasce l’idea di un nuovo modello di cooperazione, quella integrata, ovvero dove le persone lavorano insieme al di là di ogni differenza e condividono i medesimi obiettivi. Maggio’82 nasce proprio in quegli anni, in quel contesto, con quei valori e con quelle motivazioni.
[sociale.it] Qual è oggi la realtà della cooperativa che presiedi?
[MDLC] Noi abbiamo iniziato con il giardinaggio e la manutenzione delle aree verdi. Oggi, lavoriamo soprattutto con gli enti pubblici, in particolare con ospedali ed aziende sanitarie. Forniamo servizi di supporto amministrativo. Inoltre, organizziamo attività di formazione e progetti di sviluppo ed inclusione sociale.
Dalle poche decine degli inizi, oggi siamo quasi 400 tra dipendenti e soci lavoratori, il 40 per cento persone con disabilità, tutti contrattualizzati con il Contratto Nazionale della Cooperazione Sociale.
Siamo profondamente legati al territorio dove siamo nati.
Nonostante le difficoltà che s’incontrano oggi per stare sul mercato nel nostro settore – nel pubblico, sempre meno bandi a cui possiamo partecipare – cresciamo e ci sviluppiamo, creiamo posti di lavoro, includendo persone in condizione di svantaggio e mettendo al centro dei nostri servizi le persone, i cittadini, gli utenti.
Ciò riafferma la forza e la bontà dell’idea di cooperazione sociale integrata!
Creiamo e lasciamo ricchezza sul territorio in termini non solo di occupazione, reddito, soprattutto per chi è maggiormente esposto alla marginalità economica e sociale, ma anche di relazione sociale fuori e dentro il posto di lavoro, per non citare la qualità della relazione che cerchiamo di creare tra le pubbliche amministrazioni ed il cittadino che, per, noi è una motivazione ed una questione centrale.
[sociale.it] Quali sono gli obiettivi, i progetti e le prospettive per il futuro di Maggio ’82?
[MDLC] Credo che la risposta sia in quanto ho detto in precedenza. Non puntiamo a sopravvivere, che è comunque un prerequisito, ma a svilupparci e a crescere rispettando il modello della cooperazione sociale integrata e, in una prospettiva più ampia, nel nuovo contesto che ha creato il Testo Unico del Terzo Settore. Questo, anche diversificandoci, sia in termini di tipologia di servizi offerti e di territori in cui siamo presenti.
La cooperazione sociale, fondata sul mutualismo, ha fatto enormi passi in avanti rispetto ai suoi albori e ha saputo crescere valorizzando settori considerati marginali e commercialmente non appetibili dalle imprese tradizionali.
Ci sono però molte minacce per il futuro, a partire da una certa disattenzione nei nostri confronti, tanto che, da qualche anno, da partner in percorsi virtuosi per la creazione di inclusione lavorativa e sociale, sembriamo quasi essere divenuti un problema per molti.
C’è poco ascolto e poca considerazione. Forse anche per via di alcune sacrosante inchieste giudiziarie, che, per altro, hanno coinvolto pochi soggetti, provocando però sovraesposizione mediatica negativa per l’intero settore. In più, la crisi ed i tagli del bilancio degli enti pubblici rendono il nostro contesto operativo d’elezione molto difficile.
La situazione non è uguale ovunque. In alcune aree del Paese questo atteggiamento negativo, come anche gli effetti della crisi, si avvertono di più. In altre, nonostante la crisi, c’è almeno più ascolto ed attenzione. In alcune regioni, infatti, alla luce della riforma del Terzo Settore, sono state emanate nuove leggi regionali sulla cooperazione sociale, molto innovative, che raccolgono la maggior parte delle istanze del settore.
A mio parere, al di là dell’entusiasmo e dell’impegno, contano sempre più l’innovazione tecnologica e sociale, la competenza e l’esperienza, la progettazione dell’impatto sociale, la comunicazione d’impresa sociale, la qualità dei servizi e la relazione con le persone a cui li offri.
Tutto questo ci avvicina, da un certo punto di vista, ad un’impresa tradizionale in termini di rincorsa alla “performance”, ma in un’ottica che ci rende completamente differenti. Parlo di sostenibilità e impatto sociale positivo versus la mera crescita di fatturato, utili e remunerazione di azionisti e investitori. Non dobbiamo, inoltre, dimenticare che, al di là di ogni legge vigente, sull’inserimento lavorativo delle categorie protette è proprio la cooperazione sociale integrata il più potente motore di occupazione per le persone con disabilità gravi o gravissime. Per le imprese tradizionali, spesso l’inserimento di lavoratori con disabilità rappresenta un problema e un costo, null’altro.
Credo sia necessario ribadirlo per gli altri, perché, chi fa vera cooperazione sociale, questi concetti li ha chiarissimi in ogni istante e li applica non solo sul lavoro, ma anche negli altri momenti e contesti della sua vita. Questi sono i temi centrali del convegno “Effetto Impresa Sociale”, che si svolgerà il prossimo 18 febbraio.
[sociale.it] Quali sono i punti di forza e le opportunità che potete sfruttare e le debolezze e i rischi che dovete affrontare per il vostro progetto d’impresa?
[MDLC] Per quanto riguarda i punti di forza, vorrei parlare non solo della nostra realtà, ma dell’intera cooperazione sociale. Direi il commitment, l’impegno verso gli obiettivi della cooperativa, che, lo evidenzio ancora una volta, per noi non sono solo economici, visto che gli utili vengono reinvestiti nella quasi totalità nell’impresa e nel suo sviluppo. Poi, le competenze e l’esperienza del nostro capitale umano, cui offriamo, costantemente, percorsi di formazione e di crescita professionale. Infine, la duttilità, la capacità di ascoltare il territorio e di dare risposta ai suoi bisogni. In tema di opportunità, credo che si debba ascoltare l’epoca: tutto ci parla di sostenibilità dello sviluppo, anche in termini modelli economici e di consumo, d’inclusione, come piena affermazione dei diritti civili e sociali di ciascuno e di superamento delle discriminazioni in un mondo globalizzato. La risposta a questi aspetti arriva direttamente dall’idea di cooperazione, in particolare quella integrata. Aggiungo, poi, che anche il privato, oltre che il pubblico, può migliorare il proprio rapporto con i cittadini, che sono anche utenti e clienti, grazie alla modalità da pari a pari con cui sappiamo offrire i nostri servizi. Anche per loro un’opportunità, quindi guardiamo anche ad altri mercati, non più solo al pubblico. Dico, vi siete mai imbattuti, ad esempio in qualche servizio clienti, che sia on line, telefonico o frontale, magari esternalizzato: un’esperienza frustrante 9 volte su 10 e personale addetto sottopagato e precarizzato che lavora praticamente a cottimo. Noi sappiamo mettere la persona al centro, sia esso l’utente o il lavoratore. Questo non significa solo qualità del servizio, ma anche giustizia sociale e sostenibilità.
La nostra principale debolezza viene proprio dal nostro modello d’impresa che ha bisogno di un contesto sociale e culturale favorevole per svilupparsi. Questo, lasciatemelo dire, non è un momento favorevole per chi fa inclusione, è evidente per tutti. I populismi, i nazionalismi, i sovranismi, i razzismi hanno prodotto una sorta di riflusso. Oggi le persone sono ripiegate nell’individuale, nell’interesse personale, e preferiscono il sociale virtuale a quello reale, con tutte le distorsioni dei concetti di società e comunità a cui assistiamo ogni giorno. La cooperazione sociale ha dimostrato di avere la capacità d’intercettare i bisogni, soprattutto nelle periferie, non solo territoriali, da cui il pubblico è distante e a cui è sordo, anche per mancanza di fondi e di idee. Siamo, però, anche una sorta di spartiacque contro questa tempesta che minaccia di consumare il territorio entro cui si può sviluppare una società sana ed aperta.
Infine, i rischi. Il principale, che ho citato anche prima, è la discesa nel nostro mercato di soggetti privati che non rispettano le regole della concorrenza, cui noi siamo vincolati, complici, anche, le offerte economicamente più vantaggiose, al limite del massimo ribasso, e i controlli sul dumping contrattuale sostanzialmente assenti. Una partita che vede il nostro capitale umano in una lotta impari e soccombente contro le società di capitali. Una lotta che produce povertà sociale, occupazionale e precarietà, che allarga il divario sociale e non redistribuisce gli utili sul territorio. Su questo gran parte politica da troppo tempo è stata sedotta dalle parole magiche del neoliberismo, delle privatizzazioni e del libero mercato. Ora è venuto il momento di invertire la tendenza, mostrando più attenzione alle nostre istanze.
[sociale.it] Chi si succede al governo non manca di lodare la cooperazione, in particolare quella sociale, che, spesso, se non sempre, sostituisce lo Stato dove è assente: è la cosiddetta sussidiarietà. Dal pubblico, il partner principale, nuove regole ed obblighi, il Testo Unico sul Terzo Settore, ma risorse investite da anni esponenzialmente in caduta: cosa chiedete alla politica nazionale e locale?
[MDLC] Di applicare le leggi, prima di tutto. Ci sono normative nazionali e regionali, persino comunali, che impongono di riservare una percettuale delle gare di appalto alla cooperazione sociale, ma sono quasi del tutto disattese. La situazione in Italia è, come al solito, a macchia di leopardo. Occorre, poi, innescare un dibattito sull’opportunità di abbandonare un uso distorto del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa e l’idea che un prezzo concorrenziale corrisponda necessariamente al risultato di un design dei servizi più efficiente. Bisogna esaltare, invece, i fattori che migliorano l’impatto sociale nell’affidamento di un servizio ad un certo tipo soggetto piuttosto che ad un altro. Dietro ai megasconti, in realtà, si nasconde per lo più il dumping contrattuale e la precarizzazione dei lavoratori, condizione che dovrebbe essere deprecata da ogni legislatore lungimirante. Quindi, un peggioramento dei livelli retributivi dei lavoratori ed un abbassamento della qualità dei servizi. Senza dimenticare che talvolta l’esaltazione del solo criterio dell’offerta economica più vantaggiosa mette fuori mercato la cooperazione sociale. Di evidenze di questo fenomeno ce ne sono tante e dovrebbero far riflettere.
Il convegno intende richiamare la politica e le parti sociali alla consapevolezza di come la cooperazione sociale d’inclusione lavorativa, avendo una evidente rilevanza economica e sociale, debba essere tutelata e promossa, a partire dalla piena applicazione delle norme esistenti, riaffermare quel contesto di condizioni di partenza più favorevoli alla loro attività.
Come è stato più volte sottolineato, la cooperazione sociale risponde ai bisogni dei cittadini, crea occupazione e sviluppo sostenibile nel territorio.
Oggi si parla molto di sostenibilità, il “green new deal” è nell’agenda politica europea e in quella del governo italiano, non solo come necessità, ma anche in termini di opportunità di sviluppo per il futuro. Per questo occorre cambiare non solo il modello economico, ma anche quello sociale, per creare una società più equa, inclusiva e solidale.
La cooperazione sociale è sinonimo di inclusione di solidarietà ed equità. In quest’ottica, essa rappresenta un valore aggiunto che va sostenuto e diffuso. Per farlo, le leggi ci sono, possono e devono essere migliorate, soprattutto tenendo conto delle novità introdotte dalla riforma del Terzo Settore, ma, prima di tutto devono essere pienamente applicate ed adeguatamente finanziate.
Ecco, alla politica chiedo di non far più da spettatore, ma d’intervenire, per cominciare concretizzando quello che esiste. Noi faremo la nostra parte, come sempre abbiamo fatto.
A me piace, e concludo, continuare a pensare al mondo della cooperazione sociale, con lo stesso approccio che ha il fotografo innamorato della sua professione – e cito un grande autore di cui ora non ricordo il nome – che, quando schiaccia il bottone, è persuaso di prendere non solo quello che sta vedendo, ma anche quello sta immaginando.
E in questo mio sogno c’è una buona dose idealismo, che per me non è solo una bella parola. L’inserimento lavorativo è un interesse civico generale, ed ancora la cooperazione sociale ha una capacità e una sensibilità particolari nell’integrare lavoratori fragili in un contesto produttivo.
Continuo a sognare, poi, che lo Stato debba sostenere con rinnovato impegno e con una corresponsione di risorse pubbliche il nostro settore, nella convinzione che nessuno debba essere mai lasciato solo, che nessuno debba essere mai lasciato indietro.
Insomma, siamo ancora quello che volevamo essere da grandi, non abbiamo perso l’anima!
Materiali:
PDL Cooperazione Sociale Regione Lazio
Legge Cooperazione Sociale Regione Toscana
Legge Cooperazione Sociale Regione Emilia-Romagna