Emergenza Covid19, i medici rianimatori temono azioni legali e sollecitano uno scudo penale

La campagna Siaarti per sostenere i propri iscritti durante l'emergenza Corno Virus
La campagna Siaarti per sostenere i propri iscritti durante l’emergenza Covid 19

L’appello, al Ministro della Salute Speranza,  a Stefano Bonaccini, Presidente Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome, Antonio Decaro, Presidente Associazione Comuni Italiani – ANCI, in un comunicato stampa della Società Italiana di Anestesia, Analgesia, Rianimazione, Terapia Intensiva SIAARTI: “sempre più forti notizie di iniziative volte a coinvolgere gli operatori sanitari in possibili accertamenti di responsabilità penali e civili sul loro operato verso i pazienti affetti da Covid-19 o sospetti tali”

Paradossi da Covid 19. I medici delle rianimazioni da angeli potrebbero trasformarsi in potenziali delinquenti. Lo denuncia un comunicato stampa della Società Italiana di Anestesia, Analgesia, Rianimazione, Terapia Intensiva, SIAARTI, i cui 100 delegati regionali hanno inviato una lettera aperta – appello a Stefano Bonaccini, Presidente Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome, a Antonio Decaro, Presidente Associazione Comuni Italiani, ANCI, e, per conoscenza, a Roberto Speranza, Ministro della Salute.

Lo scopo è denunciare “il senso di disagio che gli Anestesisti Rianimatori italiani avvertono in un momento così difficile tanto della vita nazionale, quanto nostro personale come operatori sanitari in prima linea nella battaglia contro la pandemia”, a causa “sempre più forti notizie di iniziative volte a coinvolgere gli operatori sanitari in possibili accertamenti di responsabilità penali e civili sul loro operato verso i pazienti affetti da Covid 19 o sospetti tali”.

“Abbiamo offerto e continuiamo a farlo”, sottolineano gli anestesisti e rianimatori, con “tutta la nostra professionalità, consci di lavorare spesso al limite, ma ugualmente fermi nell’assumerci le nostre responsabilità per ogni decisione presa in base all’esperienza e alla necessità del momento”.

Insomma, nonostante le indiscutibili ed indiscusse abnegazione, professionalità e senso di responsabilità dimostrate nel corso di questa emergenza pandemica – che, tra le altre cose, ha contagiato contagiato 6.549 persone tra il personale sanitario ed ucciso di 94 medici e 26 infermieri – qualcuno pensa già ad azioni di sciacallaggio su questa tragedia.

Loro, però, continueranno a andare avanti nel loro lavoro perché è la loro professione, se non, addirittura, la loro missione.

Il motivo per cui hanno inviato la loro lettera è perché, sottolineano, “sappiamo che in Senato è stata presentata una proposta di scudo penale per il personale sanitario” scelta che garantirebbe “una protezione da denunce e richieste di risarcimento, spesso evocate per presunti casi di malasanità, cavalcando ignobilmente l’onda emotiva del momento… Scudo non vuol dire spogliarsi di ogni responsabilità, né invocare una indiscriminata immunità. Piuttosto significa una garanzia da attacchi illegittimi, e la sicurezza di tutele e coperture assicurative per il nostro operato in questa fase di emergenza”.

Infine, concludono chiedendo “ai Governi delle Regioni e alle Amministrazioni delle Città, di supportare la proposta di scudo per il personale medico di fronte al Governo della nazione perché sia speditamente approvata, dando un tangibile segnale di solidarietà e rispetto verso chi ha messo da settimane la propria vita al servizio del Paese che soffre”.

Già nelle scorse settimane, del resto, sulla scia di affermazioni azzardate, fatte soprattutto da clinici e sanitari di altri Paesi, si erano agitate sterili polemiche sulla presunta scelta di chi curare e chi no.

Il dibattito si era animato di varie sfumature paradossali, che andavano dall’accanimento terapeutico all’eutanasia, fino ad una sorta di darwinismo eugenetico e socio-demografico: prima i giovani e ed i sani e poi gli anziani e i malati. Fortunatamente questo inutile vocio è stato stoppato da clinici autorevoli che hanno spiegato, con chiarezza, che tutti vengono curati e che, la scelta, basata sulle condizioni cliniche dei pazienti – fattore che, a tutti gli effetti, condiziona la loro aspettativa di sopravvivenza al virus – è fatta esclusivamente sull’intensità della terapia da tentare con il paziente.

Purtroppo, come accade nelle fasi terminali di ogni malattia, la scelta in molti casi non può che essere palliativa.

Invece che abbandonarsi all’inutile polemica, prefigurando addirittura azioni legali, in un momento come questo sarebbe saggio stringerci tutti a sostegno di chi rischia in prima persona per salvare vite.