Il progresso della ricerca genetica aumenta la richiesta di tessuti biologici per la ricerca e pone problemi etici: di chi è la proprietà del Dna utilizzato dai ricercatori
“Vendere” il proprio per la ricerca? Il progresso della ricerca nell’individuazione e la cura di malattie di origine genetica, richiede sempre più materiale genetico e pone questioni d’ordine etico, prime tra tutte sulla proprietà del materiale e dei dati raccolti. Lo scrive la webzine Fastcompany in un’articolo che dimostra come una situazione che oggi potrebbe sembrare di confine, molto presto potrebbe divenire ordinaria con l’introduzione di veri e propri “biodiritti” individuali per regolamentare il settore in futuro. Facciamo qualche esempio tratto dall’articolo.
C’è il caso di M. O., una signora di 52 anni che desidera che i ricercatori decifrino la natura di una malattia cardiaca mortale che colpisce la sua famiglia, ma non vuole offrire campioni di sangue se i ricercatori non le promettono di darle i risultati dei test di pagarla per il disturbo. Alla fine M. O. ha accettato di affidare i suoi campioni biologici alla start up DNA Simple in cambio di 50 dollari, quello che spende mensilmente in medicine, cifra che le verrà corrisposta per ogni altro campione le verrà richiesto in futuro.
In effetti, ormai il DNA umano derivato da tessuti biologici è ormai un vero bene, una materia prima indispensabile per la ricerca medica e le aziende farmaceutiche, del governo e dei centri di ricerca universitari fanno a gara per accaparrarselo.
Non è un caso, se proprio una casa farmaceutica ha stimato che questo mercato, già nel 2018, varrà almeno 18 miliardi di dollari solo negli stati uniti. Nel frattempo, però, aumenta anche tra la gente la consapevolezza del valore delle informazioni genetiche e costo crescente delle medicne spinge sempre più pazienti a non avere un ruolo passivo nella ricerca. Sempre più pazienti vogliono avere infatti ricompense per i tessuti offerti e garanzie sul controllo dei propri dati genetici o che i risultati delle ricerche siano consegnati anche a loro.
Del resto il monito sulle potenzialità di questo mercato, sia per i pazienti che per l’industria e la ricerca, la lanciato nel 2010 il Best Seller “The immortal life of Henrietta Lacks” (“La immortale vita di Henrietta Lacks”, edito in Italia da Mondadori). Il libro racconta la storia, vera, di una povera raccoglitrice di tabacco afroamericana le cui cellule cancerose sopravvissute alla sua morte hanno permesso una serie d’importanti scoperte mediche. Le sue cellule furono prelevate durante il trattamento, senza consenso o compenso, ed i seguito commercializzate a fini di ricerca.