Secondo l’ONU in Italia sono violati sia diritti delle persone disabili, sia di chi le assiste.
Ne scrive qui Il Corriere della Sera
In base alla decisione dell’organismo internazionale, il nostro Paese deve fornire, entro 6 mesi, risposte sulle azioni intraprese per rimuovere le discriminazioni verso chi svolge lavori di cura invisibile. Assistono, spesso a tempo pieno, familiari non autosufficienti a causa di una malattia invalidante o di una disabilità, svolgendo un “lavoro” di cura invisibile, che va dal sostegno nelle attività quotidiane alla gestione delle terapie, fino al disbrigo di pratiche burocratiche. Da anni i carevigers familiari chiedono forme di tutela, senza ottenere risposte. Nel 2017 l’allora presidente del Coordinamento Nazionale Famiglie con Disabilità (CONFAD), Maria Simona Bellini, aveva presentato un ricorso al Comitato delle Nazioni Unite per i diritti delle persone con disabilità per denunciare la violazione in Italia dei diritti fondamentali dei caregivers familiari – come quello alla salute e al riposo – e, di riflesso, delle persone con disabilità. Agli inizi di ottobre il Comitato ONU, l’organismo previsto dalla «Convenzione internazionale per i diritti delle persone con disabilità» che ha il compito di verificarne il rispetto da parte degli Stati che l’hanno ratificata (tra cui il nostro) ha accolto il ricorso: il nostro Paese, entro sei mesi, dovrà presentare una relazione scritta sulle azioni poste in essere per rimuovere la discriminazione, oltre che risarcire adeguatamente la ricorrente.
Il Comitato ONU per i diritti delle persone con disabilità nel dispositivo pubblicato il 3 ottobre ha rilevato che «l’incapacità dell’Italia di fornire servizi di supporto individualizzati alle famiglie di persone con disabilità è discriminatoria e viola i loro diritti alla vita familiare, a vivere in modo indipendente e a un tenore di vita adeguato». Il mancato riconoscimento di tutele specifiche per i caregivers familiari viola, di riflesso, anche i diritti delle persone con disabilità che assistono, sanciti dalla Convenzione ONU, che nel nostro Paese è legge dello Stato.
L’organismo delle Nazioni Unite chiarisce anche che l’Italia deve fornire un adeguato risarcimento alla ricorrente. Da anni i caregivers famigliari chiedono una legge che riconosca loro il diritto al riposo e alla salute, tutele assistenziali, previdenziali, assicurative, come già avviene in altri Stati europei.
La definizione giuridica della figura del caregiver familiare è stata data per la prima volta dalla Legge di bilancio n. 205/2017 all’art.1, comma 255: «Si definisce caregiver familiare la persona che assiste e si prende cura del coniuge, dell’altra parte dell’unione civile tra persone dello stesso sesso o del convivente di fatto ai sensi della legge 20 maggio 2016, n.76, di un familiare o di un affine entro il secondo grado, ovvero, nei soli casi indicati dall’articolo 33 comma 3, della lgge 5 febbraio 1992, n.104, di un familiare entro il terzo grado che, a causa di malattia, infermità o disabilità, anche croniche o degenerative, non sia autosufficiente e in grado di prendersi cura di sé, sia riconosciuto invalido in quanto bisognoso di assistenza globale e continua di lunga durata ai sensi dell’articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, o sia titolare di indennità di accompagnamento ai sensi della legge 11 febbraio 1980, n.18» (invalidità civile).
La stessa Legge ha istituito (art.1 comma 254) il «Fondo per il sostegno del ruolo di cura e di assistenza del caregiver familiare», destinato alla «copertura finanziaria di interventi legislativi finalizzati al riconoscimento del valore sociale ed economico dell’attività di cura non professionale del caregiver familiare».