Il marchigiano Ferruccio Giovanetti, imprenditore dal 1991, ha risposto di necessità in necessità, ha intercettato un nuovo bisogno: quello delle persone con disagi mentali che, con la chiusura dei manicomi, spesso non riescono ad inserirsi nella vita quotidiana o vengono abbandonate dalla famiglia. “Dopo lo smantellamento del manicomio di Pesaro – spiega Ferruccio Giovanetti – gradualmente abbiamo ospitato in una nuova struttura i pazienti con doppie diagnosi, schizofrenia, ma anche sofferenze mentali a seguito dell’utilizzo di sostanze stupefacenti“.
Ha creato il Molino Giovanetti, e spiega: “Incontrando le persone mi ero reso conto che chi usciva dalle strutture spesso richiedeva una riabilitazione psichiatrica ulteriore. Così ho deciso di recuperare il mulino di famiglia. Ho voluto ricostruire la civiltà contadina, quella che mi ricordavo aver visto da bambino. Qui la bellezza è terapeutica, come terapeutico è il lavoro: produrre olio e vino, curare gli animali e il verde in un contesto che non ha barriere, che dà più l’idea di un agriturismo, tanto che in molti si fermano per chiedere di poter dormire e mangiare”.
I suoi bisnonni erano mugnai agli argini di un fiume, in un piccolo borgo vivacizzato da non più di cinquanta persone che lavoravano la terra. Nel 2010 ha restaurato la struttura da cima a fondo, anche valorizzando i diciassette ettari di terra che gli si stringono attorno, dove scorrazzano pecore, galline, oche, cavalli.
A Montegrimano Terme, una piccola stazione termale vanta un hotel che è un esperimento di riabilitazione. I ragazzi che qui sono accolti diventano anche i gestori della struttura stessa. Sono loro che sfornano pizze, rifanno i letti, consigliano i vini agli ospiti.
“All’inizio – spiega Giovanetti – il borgo era molto diffidente, oggi è uno spettacolo di integrazione sincera, dove non si parla più di ex tossico, ex manicomiale, ex malato mentale. Noi accogliamo quel che la società non vorrebbe vedere in ambienti il più possibile ricchi di bellezza per aiutarli a guardarsi non come oggetti che vengono scaricati, ma come persone. Alcuni operatori – conclude – sono con me da vent’anni e questo lavoro non lo si fa per lo stipendio, ma come un aiuto verso a chi è stato meno fortunato di noi: è l’unica carta che permette di rimanere per molto tempo, svolgendo un compito che diventa missione“.
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