Home Povertà L’abito fa il prete. O forse no

L’abito fa il prete. O forse no

Un post su un blog cattolico riapre interrogativi sull’abbigliamento dei sacerdoti: ce ne sono davvero così tanti interessati all’aspetto? E perché infastidisce anche la talare? Cosa dice il Papa.

Preti “esteti“, “iconici“, addirittura “dandy“: insomma eccessivamente preoccupati del proprio corpo, dell’abbigliamento e dell’immagine. Non va certo con mano leggera Don Domenico Marrone, teologo pugliese, nei riguardi dei suoi confratelli firmando un recente post sul blog cattolico Settimananews. E peraltro il dibattito da lui avviato un appoggio oggettivo sembra averlo. Se difatti qualche decennio fa la polemica sull’abito ecclesiastico si arroventava tutt’al più tra ferrei fautori della talare e più ecumenici partigiani del prete in jeans, oggi ­– annota Marrone – “Occhieggia da centinaia di negozietti ed edicole romani, tra un Colosseo rifatto in pura resina e un vestito da gladiatore; è il calendario con il prete in copertina. Facce pulite, sorridenti, in talare e colletto rigido che il biancoenero certo non mortifica (in realtà si è poi scoperto che non tutti sono preti ma modelli). E se una volta c’era semmai solo il lunario un po’ rustico di Frate Indovino, resta da chiedersi chi mai acquisti l’azzimato calendario dei “preti belli” per mettere al muro il suo reverendo mensile; di sicuro non comunità di suoreparrocchie… Ma tant’è: il prodotto sta sulla piazza da ormai vent’anni.

Appunto: stiamo dunque transitando dai “Preti di strada” a quelli di passerella? L’interrogativo, tra il malizioso e il preoccupato, lo ha sollevato il blog cattolico Settimananews in un lungo post intitolatoDandy, ovvero il prete esteta“. L’autore, il teologo pugliese Don Domenico Marrone, punta subito il dito: “Recentemente, sembra che un numero niente affatto insignificante di ecclesiastici abbia abbracciato questo stile (il dandy), concentrandosi eccessivamente sull’attenzione per il proprio corpo, sull’abbigliamento di classe, sull’uso di tecnologie all’avanguardia e su altri aspetti simili. (…) La società e i media ci trasmettono un eccessivo attaccamento alla cura di sé, particolarmente concentrato sull’aspetto esteriore. Questo non solo non è salutare, ma è anche poco utile, specialmente per un presbitero che rischia di precipitare in un vuoto spirituale tipico dell’edonista esteta“.

Il testo svaria in interessanti considerazioni sulle recondite tentazioni del benessere del corpo e sulla religione salutista, ma certo ai confratelli non le manda a dire: “Attualmente, è frequente incontrare presbiteri che si presentano come icone di fisici ben allenati, considerati ricercati sia per l’abbigliamento di lusso che indossano che per l’uso generoso di profumo, frequentano locali raffinati e alla moda, investono somme considerevoli in abiti liturgici, mostrando una tendenza a confondere le celebrazioni dei Sacri Misteri con esibizioni di alta moda ecclesiastica. Alcuni preti sembrano prepararsi come attori, applicando trucco prima di presentarsi in pubblico. Sono preti dall’aspetto ben curato, abili nel parlare e nell’adempiere ai loro doveri, poiché consapevoli che devono proiettare un’immagine di devozione e nobiltà nella loro vita esteriore. Ogni aspetto può essere considerato un sintomo che evidenzia un malessere presente nella borghesizzazione del clero, caratterizzata da una conformità apparentemente tranquilla e dalla perdita o marginalizzazione del ruolo profetico Come presbiteri, siamo chiamati ad abbracciare l’eleganza di una povertà dignitosa, indossando abiti sobri e essenziali. La responsabilità pastorale a cui il presbitero è chiamato si basa su un’autentica attenzione per se stesso, evitando sia il pericolo di autoannullamento sia eventuali tendenze narcisistiche, fenomeni sempre più comuni ai giorni nostri“.

Fonte: Avvenire.it

Photo: Avvenire.it

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