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Bebe Vio: Sono sempre la stessa, La disabilità non mi ha fermato con lo sport

La campionessa di scherma si racconta in una intervista al Corriere della Sera: “Ci ha salvato l’aver scoperto il mondo dello sport paralimpico: ci siamo fatti coinvolgere profondamente dall’attività“.

“Io sono sempre la stessa Bebe, anche se per strada ho perso dei pezzettini. Sono rimasta tenace e innamorata della scherma. La disabilità non mi ha impedito di continuare con lo sport agonistico, con gli scout, con la scuola. Anche l’impegno per le persone con disabilità non è venuto solo “Dopo“: facevo parte del Consiglio comunale dei Ragazzi del mio paese, Mogliano Veneto, e assieme andavamo a mettere “Multe morali” sotto i tergicristalli delle auto parcheggiate abusivamente sui posti riservati“. A raccontarsi al Corriere della Sera è Bebe Vio Grandis, straordinaria rappresentante della scherma paralimpica italiana, 4 volte a medaglia alle Paralimpiadi e altrettante volte campionessa mondiale. Prima di arrivare a questi grandi risultati, ad appena 11 anni è stata costretta all’amputazione degli arti per colpa di una meningite meningococcica. Il dopo, Bebe lo ha affrontato come meglio poteva grazie alla propria famiglia e al fatto di essere cresciuta“in un paese, per cui l’intera comunità e la rete degli amici ha condiviso la nostra situazione. I genitori degli altri bambini si sono occupati dei miei fratelliNicolò, 29 anni, Maria Sole, minore di me – mentre mamma e papà mi affiancavano in ospedale; ci hanno dato una mano a reinventarci, ci hanno fatto capire che quanto era successo riguardava anche loro. Non è un caso che nella Art4sport Onlus che i miei hanno fondato nel 2009, l’anno dopo il mio “Incidente“, ci sia ancora il”‘Comitatone“, il gruppo storico di quelle persone. Al principio la nostra è stata una rincorsa collettiva alla normalità. L’approccio era: “E successa sta cosa, vediamo come tirarcene fuori” Ci rassicurava pensare che avremmo imboccato presto la strada del ritorno alla base. La situazione, però, era tutt’altro che normale“.

E poi è arrivato lo sport: “Ci ha salvato l’aver scoperto il mondo dello sport paralimpico: ci siamo fatti coinvolgere profondamente dall’attività – io già prima tiravo di scherma e mi allenavo più volte alla settimana – dalle persone, dalle loro storie. Alla paura di affrontare il presente, e íl futuro, è subentrata la curiosità di capire come andare avanti. È stata la molla per accettare di rimparare tutto: a camminare, ad allacciare le scarpe, a mangiare, ad arrotolare gli spaghetti (che è difficilissimo). E a riprendere in mano la mia vita non solo dopo che la meningite ha cambiato i miei piani, ma ogni volta che si è presentata un’ennesima complicazione“, come un’infezione al braccio sinistro che l’ha colpita nel 2021 prima delle Paralimpiadi di Tokyo. Per Bebe le protesi, con cui convive da oltre 15 anni, “Sono una parte di me, le indosso come si indossa un vestito che, si sceglie per rappresentarsi in un certo modo agli altri. Le percepisco come un tutt’uno con la mia persona, il mio corpo“. Importante, per lei è stato avere una mentalità da sportiva che “Mi ha aiutato già durante la prima permanenza al centro protesi. La perseveranza alla quale mi aveva abituato la vita in palestra, per cui ci si pone sempre degli obiettivi quotidiani da raggiungere, l’ho applicata alla riabilitazione. Quella tigna mi ha aiutato a non scoraggiarmi, come purtroppo ho visto fare da tanti. E a costruire un. che, quanto un allenatore, è li per motivare a dare il meglio di sé. E che rischia di diventare il bersaglio della rabbia e della frustrazione di chi sta vivendo il trauma della disabilità. Per fortuna, in un’epoca in cui l’accesso ai diritti da parte delle persone con disabilità è la norma, ho potuto trasformare la mia passione, lo sport, in un lavoro: sono nelle Fiamme Oro, il gruppo sportivo della Polizia“.

“Annulla tutte le differenze: nel momento in cui tu gareggi, nessuna delle caratteristiche individuali conta più. Etnia, censo, sesso, età, stato fisico passano in secondo piano. Importa solo la forza del tuo avversario, con la quale ti misuri. Questo sul piano mentale ti apre a una dimensione più grande, che supera anche i benefici dello sport come elemento di inclusione.  E lo stesso principio che ci ha portati ad aprire a Milano la Bebe Vio Academy, organizzata dall’Associazione Art4sport Onlus. Fa conoscere e praticare cinque sport paralimpicibasket in carrozzina, sitting volley, scherma in carrozzina, atletica paralimpíca e calcio amputati – a bambine e bambini dai 6 ai 18 anni, con disabilità e no (in proporzione 50 e 50). Gli allenamenti sono gratuiti, quattro ore a settimana. I normodotati che frequentano per un anno l’Academy sono solo in misura minore i siblings, i fratelli o le sorelle di persone con disabilità. Vengono soprattutto da famiglie che vogliono offrire ai figli un’occasione di gioco e sport che rifletta la variegata complessità della società. Chi dà agli atleti con disabilità le protesi per gareggiare? L’Inail, l’ente statale che si occupa di infortuni, fornisce le protesi e tutti gli ausili necessari per la vita quotidiana, dalle carrozzine ai sollevatori“. Le protesi sportive, tuttavia, “Non rientrano nella copertura, a meno che l’atleta non abbia già conseguito risultati. Chiaramente, un bambino che si avvicina allo sport non dà “Garanzie” in questo senso. E la situazione in cui mi sono trovata io all’indomani dalle amputazioni. Quando desideravo continuare con la scherma, ma non ero neppure sicura di riuscirci. Per questo è nata Art4sport, l’Onlus da cui è partito il nostro impegno: aiutare bambini e ragazzi a fare sport, fornendo attrezzi che sono in gran parte pezzi unici, perché si adattano alle esigenze dello specifico sport e del singolo bambino”.

Fonte: Superabile.it

Photo: Superabile.it

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