Il fotografo era malato da tempo. Amante della provocazione, segnò una svolta nella sua arte: dalla moda all’impegno sociale. “Ma la lezione più grande me la diede don Milani“.
Genio fotografico e sregolatezza, soprattutto lessicale. Energico, ribelle, instancabile, polemico fino ad essere scorbutico, per gli amici più stretti “Una simpatica canaglia“. Questo e molto altro è stato Oliviero Toscani, lo scatto umano e per alcuni “Immorale“, ma nell’album della sua esistenza si ritrova sempre uno sguardo da uomo giusto. A 82 anni, ne avrebbe compiuti 83 il prossimo 28 febbraio, il fotografo milanese se ne va per sempre, a causa di quella terribile malattia che in pochissimo tempo lo ha consumato, l’amiloidosi. “In pratica le proteine si depositano su certi punti vitali e bloccano il corpo. E si muore. Non c’è cura”, raccontò nell’ultima toccante intervista rilasciata a Elvira Serra per il Corriere della Sera che andò a trovarlo nel suo rifugio maremmano. La “Tana del lupo” solitario, in cui lo trovò ferito da quel male che lo aveva ridotto uno scheletro. Le ultime confessioni le aveva date al “Suo giornale“, il giornale di tutta la famiglia Toscani. Anche se nella sua rassegna stampa un posto privilegiato ce l’avevamo anche di Avvenire.
Ma dicevamo dell’Oliviero in campo. Un genio precoce, nato praticamente con la macchina al collo. Era un figlio d’arte, suo padre Fedele Toscani fu uno degli storici fotoreporter del Corriere della Sera. E proprio al Corrierone a 14 anni, al seguito del padre, gli fanno firmare la sua prima foto. La scattò a Predappio per la tumulazione di Benito Mussolini. Quella prima istantanea a firma di Toscani jr era il ritratto affranto della vedova del Duce, donna Rachele, che presenziava alla cerimonia. Un ricordo indelebile nella mente del talento che dopo l’apprendistato domestico si diplomò in fotografia alla prestigiosa Kunstgewerbeschule di Zurigo sotto l’occhio zoommato del Maestro Serge Stauffer. Uno specialista delle foto di opere d’arte, versante che il giovane Oliviero declinò alla voce “Arte pubblicitaria“, diventando ben presto un apripista e poi un caposcuola, punto di riferimento di tutti i fotografi di settore fino ai giorni nostri. Un cuore non sempre tenero il suo, eppure la prima campagna la fece per il cuore di panna dell’Algida. Siamo agli inizi degli anni ‘70 e l’immagine delle ragazze, modelle parigine, che degustano allegramente il cono pedalando in sella al tandem fa il giro del pianeta. Un passepartout per cominciare a lavorare con le riviste che contano: Elle, Vogue, sia nella versione Uomo che Donna, conquistando la fiducia di Chanel e degli stilisti amici, Valentino e Fiorucci.
Nel 1979 alla Mostra di Venezia l’under 40 Toscani è già un maestro al quale affidare un seminario sulla fotografia di scena e pubblicitaria. Gli anni ‘80 saranno quelli del binomio Benetton-Toscani. Le campagne che lo hanno reso il fotografo italiano più popolare, il più amato e pagato ma anche il più discusso dell’universo. Mezzo secolo di sodalizio con Luciano Benetton, chiuso nel 2020, che si è consumato in immagini policrome che hanno fatto sempre discutere inaugurando un genere: lo “Shockvertising Toscani“. Ritratti e foto di gruppo a forte impatto, immagini nude e crude, talora irriverenti e irritanti, vedi il bacio sacrilego tra la suora e il reverendo. Ma l’Oliviero eretico del siete “Brutti e vecchi!” della parodia di Fiorello, era anche un’anima gentile, etica e profondamente civile. Di tutti i ritratti dei potenti del mondo e i relativi incontri raccontati nella sua autobiografia Ne ho fatte di tutti i colori (La nave di Teseo) non andava particolarmente fiero, mentre era orgoglioso di quelle campagne solidali per la lotta all’Aids. Anche se il lavoro “Politicamente” più appassionato e compiuto riteneva che fosse quello realizzato a Sant’Anna di Stazzema quando lo chiamarono per commissionargli la commemorazione dei 60 anni dell’eccidio nazifascista.
Politicamente scorretto, cinico e “Situazionista“, come recita il sottotitolo del suo memoir. All’occorrenza uomo sensibile fino allo sfinimento, come dimostra il progetto fotoantropologico “Razza Umana“ con il quale dopo aver lavorato in cento comuni italiani aveva provato ad aprire un dialogo, almeno “Etico – artistico” tra Israele e Palestina. Il tentativo estremo dell’anarchico Toscani, fiero di aver sempre lavorato “Senza un padrone, né uno stipendio fisso“. Un uomo libero, anche davanti a Dio perché riteneva (autoassolvendosi) di “Stare a posto con il Padreterno” e la lezione più grande nella sua vita non l’aveva ricevuta dalla fotografia, “Ma da don Lorenzo Milani“. Fino all’ultimo ha ricevuto lettere da tutto il mondo il “Professor Toscani” e finché ha potuto rispondere ha inviato il suo messaggio schietto e sincero di uomo sempre aperto a tutto e fazioso forse solo dinanzi alla Beneamata. L’Inter, passione condivisa con l’amico fraterno Massimo Moratti. Uno dei tanti che oggi lo piangono assieme all’amore della sua vita, l’ultima moglie Kirsti, i figli Alexandre, Olivia, Sabina, Rocco, Lola e Ali e i sedici nipoti, sparsi nel mondo, che come i bambini della United Colors of Benetton rappresentano per nazionalità quelli di Francia, Usa, Svezia e Norvegia. Prima di andare via aveva confessato di non aver paura della morte, ma a una condizione: “Basta che non faccia male“.
Fonte: Avvenire.it
Photo: Avvenire.it