Quando si parla di un’Italia a due velocità evidentemente non vengono prese in considerazione le 21 in ambito sanitario, soprattutto in considerazione delle modifiche costituzionali in tema di autonomia finanziaria delle Regioni. Questo, in soldoni, il leit motiv degli Stati Generali della Salute: Art. 32 organizzati dall’Associazione culturale Giuseppe Dossetti a Roma il 7 marzo nella Nuova Aula del Palazzo dei gruppi parlamentari (Camera dei deputati).
“Il nostro Sistema Sanitario Nazionale non è più in grado di garantire livelli di assistenza sanitaria e standard qualitativi così da realizzare una vera giustizia distributiva. L’Italia si presenta con una sanità che, anziché unire, produce forti tensioni tra le diverse Regioni e i malati”, ha spiegato la presidente dell’Associazione, Ombretta Fumagalli Carulli, aprendo i lavori. Il riferimento, chiaro, è alla riforma del Titolo V della Costituzione del 2001. Il Titolo V della Costituzione riguarda le autonomie locali, quindi Comuni, Province e Regioni. Con la riforma del 2001 – oggi molto contestata – le regioni in particolare hanno assunto maggiori competenze. Ma a questa possibilità non è mai corrisposta una reale autonomia fiscale (l’unica, significativa imposta regionale è l’Irap, escludendo la compartecipazione all’Iva e l’addizionale Irpef, raccolte però dallo Stato). Le regioni si sono così ritrovate nel tempo a spendere più di quanto disponessero realmente, creando degli enormi buchi nei bilanci. La sanità è uno degli ambiti più colpiti.
“Dobbiamo concentrarci sul valore della salute – ha sostenuto la senatrice del Pd e presidente della Commissione Sanità, Emilia Grazia De Biasi, durante il suo intervento – . In Italia abbiamo 21 sistemi sanitari differenti e va bene tutelare le diversità territoriali, ma non creare difformità”. Il problema, ha poi aggiunto De Biasi, consiste anche nelle continue richieste di proroga da parte delle Regioni – come nel caso degli Ospedali psichiatrici giudiziari – o nei consueti ritardi, tipo l’aggiornamento dei Lea (Livelli essenziali di assistenza). “Che non avviene – ha ricordato la senatrice del Pd – dal 2001”. Circostanza inaccettabile, ha quindi aggiunto, perché nel frattempo “il Paese è cambiato”, la popolazione tende a invecchiare e i mutamenti socioeconomici degli ultimi anni evidenziano la necessità di nuove normative in materia.
Attenzione però a credere che i problemi siano derivati tutti dalla riforma. “Il Censis rilevò discrepanze già prima del Titolo V e – ha osservato Carla Collicelli, vicedirettore generale dell’istituto di ricerca – prima della spending review c’erano i piani di rientro, con delle criticità già all’epoca”. La soluzione, ha suggerito a tale proposito, può essere la promozione di una sostenibilità sociale (educazione ai corretti stili di vita, politiche ambientali…) che non appesantisca gli apparati. Ed è per questa ragione che “gli Stati Generali per noi restano aperti”, ha chiosato Claudio Giustozzi, segretario nazionale dell’Associazione Dossetti (che ha presentato una class action per risarcire i cittadini che non riescono a godere del “diritto costituzionale” – l’Articolo 32, appunto – alla salute). “È necessario che lo Stato si focalizzi sulle esigenze di ogni singolo cittadino. L’assistenza al paziente e l’accessibilità non può dipendere dalla regione di nascita o di provenienza”.