La comunità nella società: 40 anni di attività della cooperativa sociale Capodarco. Inserire i disabili al lavoro per uscire dalla solitudine
Irene Ranaldi, direttrice responsabile di sociale.it, offre ai soci-lavoratori uno spunto di riflessione sulla storia e sul futuro della Cooperativa Capodarco a pochi mesi dai suoi 40 anni dalla fondazione. L’occasione è il paper che ha presentato alla XXIIa Summer School on Religions, promossa dall’Ais, Associazione Italiana Sociologi, sezione Sociologia della Religione, che si è svolta a San Gimignano dal 26 al 29 agosto 2015.
Due non è il doppio, ma il contrario di uno, della sua solitudine. Due è alleanza, filo doppio che non è spezzato (Erri De Luca)
Storia della comunità e della cooperativa Capodarco
Disabilità e solitudine: due termini che spesso si trasformano in sinonimi in una società a misura e quasi territorio della “normalità”. Società dove la “diversità”, di qualsiasi genere essa sia (razziale, religiosa, per inclinazione sessuale, disabilità, ecc.), più o meno inconsciamente è percepita dal cosiddetto “normale”, anche simultaneamente, con due opposti sentimenti: paura e presunta superiorità e/o commiserazione. Ciò è un dato di distorta psicologia umana maturata in una società civile che per millenni ha privilegiato l’esteriorità a discapito dell’interiorità, l’avere piuttosto che l’essere, il materialismo a tutto svantaggio della spiritualità, proprio perché il primo è più facile e immediato, e perciò divenuto un’inclinazione per la maggioranza degli individui.
La cooperativa sociale Capodarco è una realtà che affonda le sue radici in un passato fatto di lotta ed impegno in difesa dei diritti delle persone con disabilità e che guarda con impegno e fiducia ad un futuro in cui la società, anche grazie ai suoi sforzi, sia finalmente per tutti. Una storia di persone, di sogni, visioni, sacrifici sconfitte e vittorie che in qualche modo ne fanno il precursore e l’emblema dell’impresa sociale che fa integrazione lavorativa in Italia. La Capodarco di Roma nasce come cooperativa nel 1975, attorno ad un laboratorio di ceramica in cui trovano occupazione 20 persone con disabilità. La Comunità è invece preesistente, è nata nel 1966 per iniziativa di Don Franco Monterubbianesi nella città di Capodarco di Fermo nelle Marche. La Comunità di Capodarco è un’associazione senza fini di lucro impegnata nell’accoglienza di persone in condizione di grave disagio. È organizzata in una comunità generale e in comunità locali, composte da soci e dotate di propri organi direttivi. Il gruppo crebbe molto rapidamente grazie all’apporto di molti volontari e di altre persone con disabilità che sposarono il progetto: dai 13 iniziali si passò ai cento membri del 1970.
Gradualmente alcuni gruppi si staccarono dal nucleo centrale per “esportare” l’esperienza di Capodarco anche in altre parti d’Italia: nacquero le Comunità di Sestu, Fabriano, Gubbio, Udine, Lamezia Terme, Roma.
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Oggi la Comunità di Capodarco è presente, in Italia, in 14 città e 11 regioni, di essa fanno parte centinaia di persone tra comunitari, ragazzi impegnati nel servizio civile, operatori sociali e volontari. Nel 1992 è nata la CICa (Comunità internazionale di Capodarco), un’organizzazione non governativa di solidarietà, che si propone di dare risposte ai problemi dei poveri e degli emarginati dei paesi meno sviluppati con progetti in Albania, Kosovo, Romania, Brasile, Ecuador, Guatemala, Camerun e Guinea Bissau.
Dal 1994 la Comunità di Capodarco è presieduta da don Vinicio Albanesi, che è a capo di un consiglio composto dai presidenti delle comunità locali.
La Comunità di Capodarco organizza servizi per la riabilitazione e l’inserimento sociale e lavorativo delle persone con disabilità. Nel corso del tempo la sua sfera di azione si è allargata dai bisogni dei disabili fisici e psichici a quelli dei giovani, dei minori, dei tossicodipendenti, degli immigrati, dei malati psichiatrici.
La Comunità ha inoltre sempre posto molta attenzione anche a come le notizie sociali sono diffuse. Il progetto iniziale della Comunità di Capodarco fu molto innovativo per l’epoca. Partiva dalla constatazione dello stato di totale abbandono delle persone con disabilità che erano costrette a passare la maggior parte della loro vita in istituto senza alcuna possibilità di riscatto e di realizzazione. Da qui nacque il desiderio di tentare la creazione di una comunità dove i disabili divenissero protagonisti della loro vita. Il processo doveva passare attraverso la formazione di una coscienza dei propri diritti e doveri ed era retto da una serie di principi di fondo:
- il rifiuto dell’atteggiamento pietistico nei confronti di chi è in difficoltà e il superamento di ogni assistenzialismo;
- lo stile della condivisione, del coinvolgimento profondo con la storia dell’altro, del pagare di persona;
- la territorialità dell’intervento per evitare di chiudersi nella propria struttura ed aprirsi alle realtà circostanti;
- la quotidianità come spazio in cui tutti hanno la possibilità di crescere e di emanciparsi attraverso il lavoro, momenti di vita comune, attività di servizio sociali.
Oggi la cooperativa romana è una realtà fatta di oltre 2000 soci lavoratori, il 40% dei quali con disabilità, con un fatturato di alcune decine di milioni di euro all’anno, presente con i suoi servizi Lazio ed in altre regioni, e che, nonostante i colpi della crisi, è riuscita a mantenere i livelli occupazionali e s’impegna a progettare e a proporre sul mercato servizi sempre nuovi, efficaci, tecnologicamente innovativi e vicini ai bisogni delle persone grazie alle competenze, alle professionalità e alle sensibilità che ha acquisito ed allevato al suo interno in quasi 40 anni di attività.
Nel giro di una decina d’anni dalla nascita, tra il 1975 e il 1985, questa esperienza d’inclusione sociale e lavoro, che nel frattempo da laboratorio si è trasformata in fabbrica, già garantisce occupazione lavorativa di persone con disabilità. Il salto di qualità avviene tra la fine degli anni Ottanta ed i primi anni Novanta, quando, per diversificare le proprie attività ed affermare il modello d’impresa sociale che ha consolidato, Capodarco dà vita al Consorzio Sociale Co.In allo scopo di contribuire alla nascita e allo sviluppo di nuove cooperative sociali d’inserimento lavorativo. La crescita della nuova impresa, che trova solide basi nell’esperienza maturata in anni d’impegno imprenditoriale dei soci lavoratori, coincide immediatamente con l’offerta di servizi innovativi, soprattutto nella consulenza per l’abbattimento delle barriere architettoniche e nell’offerta di servizi per il turismo per tutti al Comune di Roma.
Arriviamo a circa 40 soci lavoratori con disabilità fisica e alcuni psichica, poi però con l’arrivo della Cina piano piano la ceramica perde fasce di mercato e dobbiamo re inventarci e nasce la legge 381 che permette l’esternalizzazione dei servizi pubblici anche alle cooperative di tipo B. Dopo la legge il Cispel (organizzazione delle municipalizzate) fa dei protocolli di intesa con il Comune e le Regioni, a Roma si fa una delibera di intenti, poi la legge regionale 24 del 1996 istituisce l’albo delle cooperative sociali e da qui prende il via una nuova esperienza per la cooperativa Capodarco che da esperienza semi industriale diventa una società di servizi, vengono fatti dei corsi di formazione e riqualificazione professionale, la Capodarco fa la prima guida dell’accessibilità degli edifici pubblici a Roma e si fanno due convenzioni con ASL: con la Roma C per servizi amministrativi vengono inseriti 12 soci e poi una convenzione con l’Asl Roma E con ragazzi che provenivano dai CFP della Comunità di Capodarco. Alla Roma C si sperimenta un primo servizio di prenotazione telefonica del Cup, poi con l’Umberto I fino a che nella seconda metà degli anni Novanta viene elaborato un progetto originale della Capodarco per il Giubileo.
Dopo poco la Capodarco, attraverso un’azione di ricerca e riqualificazione del proprio personale, entra nel settore dei servizi alle Pubbliche Amministrazioni riuscendo ad ottenere in affidamento le attività di sportello, di segreteria amministrativa di alcune ASL ed Aziende Ospedaliere del Lazio. Alla fine degli anni Novanta diviene portatrice di un progetto per la realizzazione del centro unico di prenotazione telefonica sanitaria per la città di Roma che ottiene i finanziamenti del Giubileo. Successivamente ne acquisisce l’appalto e ne progetta a favore dell’Amministrazione Regionale l’estensione del servizio a tutto il Lazio. Si tratta del più grande centro di prenotazione sinora mai realizzato nel quale confluiscono oltre 20.000 agende delle prestazioni ambulatoriali di visite specialistiche e diagnostica strumentale fornite da 20 aziende ASL e Ospedali Pubblici, che gestisce più di 6 milioni di contatti telefonici all’anno. Attraverso questo sistema denominato Recup di sportelli CUP, contact center, segreterie lavorano nella Capodarco oggi oltre 2.000 operatori tra tecnici, informatici, centralinisti e amministrativi. Ben 800 di questi sono costituiti da persone affette da disabilità grave. La Capodarco rappresenta la più grande impresa sociale d’Italia in grado di poter competere sul mercato nazionale ed europeo in settori di terziario avanzato con competenze e tecnologie importanti in grado di coniugare efficienza, capacità e risposte a bisogni sociali.
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Disabili, da noi si investe meno che nel resto d’Europa
Disabilità dimenticata. Non solo dal mondo produttivo, ma anche dallo Stato che su di loro investe meno del resto d’Europa: 437 euro contro una media Ue di 535. Ed è così che per i 4 milioni di disabili in Italia stimati dal Censis (6,7% della popolazione), oltre alle difficoltà motorie o intellettive quotidiane, si aggiunge anche l’invisibilità. Un cono d’ombra ancora più preoccupante se si considera che da qui a sette anni il numero dei disabili nel nostro Paese sfiorerà 5 milioni e supererà 6,7 milioni nel 2040. Troppo in realtà resta ancora sulle spalle delle famiglie, che investono sul benessere dei propri figli speciali in media 17 ore al giorno, pari a un valore economico tra i 44mila e i 51mila euro annui.
La prima discriminazione si chiama proprio integrazione. Non tanto scolastica dove, pur con molti problemi, i 209mila disabili vengono seguiti da 111mila insegnanti di sostegno. Quanto dopo il diploma, a cui comunque arriva circa la metà di alunni ‘unici’. Dopo la scuola, infatti, solo tre su dieci varcano la soglia di casa per lavorare, molto spesso senza un contratto standard (60%) e altrettanto spesso senza ricevere un compenso. Percentuali di occupazione under 24 che arrivano sotto il 10% – ricorda il Censis – se si considerano i disabili intellettivi. Per molti di loro, comunque, si aprono le porte di cooperative sociali e centri diurni in cui i giovani possono uscire dalla solitudine – la percentuale varia dal 32% delle persone down al 50% degli autistici – tuttavia ciò non basta a dargli l’autonomia monetaria fondamentale per la loro vecchiaia, quando i genitori non ci saranno più. Appena il 20%, difatti, riuscirà allora a far fronte alle necessità economiche; una quota che scende al 5% se si considerano i ragazzi affetti da autismo.
Il problema più sentito dalle famiglie: il “dopo di noi”
La deputata Pd Ileana Argentin, membro della Commissione Affari Sociali della Camera dei deputati, ha lanciato recentemente una petizione rivolta ai presidenti di Senato e Camera e ai capogruppo di tutti i partiti per mettere con urgenza in calendario la discussione del progetto di legge sul “dopo di noi” ovvero quel momento in cui i genitori diventeranno vecchi e non potranno più assistere il figlio che non è in grado di far fronte autonomamente alle necessità della vita quotidiana. La legge che ha proposto l’Argentin parte proprio da quest’ansia, a cui vuole dare una risposta, garantendo l’assistenza al disabile nella propria abitazione o il progressivo inserimento in comunità familiari e case famiglia.
Bibliografia
- Vinicio Albanesi, Fare comunità. La comunità di Capodarco, 2007, Redattore Sociale Edizioni
- Marco Damilano, La comunità di Capodarco, 2001, Comunità di Capodarco Edizioni
- Gianfranco Fabi, Il mondo è una barriera, 1977, Jaca Book, pp. 87-100
- Goffredo Fofi, Gad Lerner, Michele Serra, Maledetti giornalisti, 1997, Edizioni e/o
- Angelo Maria Fanucci, La logica dell’utopia, 1998, Cittadella Editrice
- Marisa Galli, La lunga sfida. Manuale per superare l’emarginazione, 2005, Edizioni Sensibili alle foglie
- Marisa Galli, Una storia unica, 2007, Redattore Sociale Edizioni