Crazy for football un calcio alla paura della diversità. Crazy for football è un documentario diventato libro. E’ una sfida verso le paure della diversità, leggiamo dall’introduzione: “Davanti a noi ora non ci sono più due schizofrenici, uno psicotico, tre depressi, un ansioso eccetera. C’è un gruppo di giocatori, di amici, che si prepara ad un Mondiale. Sono finiti trascorsi i mucchi di giorni incolori, le settimane scomparse, sacrificate al nulla. Al loro posto adesso c’è questa corsa di gruppo da un lato all’altro del campo, c’è il dribbling tra i conetti, i tiri in porta, la finta venuta male, il tiro sparato alle stelle, la risata. C’è smettere di avere la propria età per qualche giorno, tornare all’età calcio, a quell’adolescenza di ritorno che cancella ogni dato anagrafico e rende tutti bambini”. Il documentario racconta la storia di un gruppo di pazienti psichiatrici provenienti da diversi dipartimenti di salute mentale di tutta Italia, uniti da un sogno: quello di partecipare ai mondiali per pazienti psichiatrici a Osaka, in Giappone. Accompagnati dallo psichiatra Santo Rullo e coordinati da Enrico Zanchini (allenatore) e dall’ex pugile Vincenzo Cantatore (preparatore atletico), il gruppo di pazienti affronterà diverse sfide sul campo. L’obiettivo per ognuno di essi sarà quello di riuscire ad entrare nella rosa finale dei 12 giocatori che parteciperanno al ritiro e, successivamente, al campionato mondiale.
Le conquiste della legge Basaglia
Il documentario prende spunto dal lavoro svolto da Santo Rullo, presidente dell’associazione italiana di psichiatria sociale, già raccontato da un altro piccolo documentario autoprodotto, dal nome Matti per il calcio, sempre diretto da Volfango De Biasi in collaborazione con Francesco Trento nel 2004. L’obiettivo dell’esperimento sociale di Rullo e dei suoi collaboratori è stato quello di portare avanti le conquiste della legge Basaglia, tra i cui obiettivi primari vi era quello del reinserimento sociale dei pazienti che hanno subìto trattamenti psichiatrici. Il calcio – in questo specifico contesto – assume una duplice funzione per i pazienti: da un lato una forma di riavvicinamento al proprio ambiente, dall’altro uno spazio dove il rispetto delle regole e dell’altro apre la strada a una vero e proprio recupero sociale.