Giuseppe Guerini, Omar Piazza Vice presidente di Federsolidarietà Lombardia e Valeria Negrini, presidente Federsolidarietà Lombardia e portavoce Forum Terzo Settore Lombardia, rispondono all’analisi di Marco Dotti sui CAS. «Bisogna fare attenzione a non generalizzare definendo tutta l’accoglienza come “business”»
Sulla vicenda migranti, dalla questione dei salvataggi a quella dell’accoglienza, si sono spesi in commenti e analisi un’enormità di commenti. A prevalere è sempre una logica che dipinge un quadro di emergenza che nessun dato o numero conferma. La vera emergenza numerica continua ad essere concentrata in Africa e Medio-Oriente in paese poveri o comunque meno ricchi di quelli europei. Anche alcuni commentatori e analisti vicini al terzo settore, come recentemente Marco Dotti su Vita.it, sembra essere caduto nella trappola dell’emergenza e della necessità di prendere distanza dal sistema di accoglienza attuale, che certamente ha tanti difetti, ma che non dobbiamo dimenticare ha saputo accogliere in questi anni oltre 600.000 persone, di cui circa 140.000 ora ancora presenti nei CAS.
Bisogna fare attenzione a non generalizzare definendo i CAS come parcheggi e tutta l’accoglienza come “business” e basta: questo è inutilmente offensivo e pericolosamente fuorviante. Molte cooperative sociali autentiche lavorano sul campo da tempo, si sono occupate di accoglienza migranti o di integrazione già dai tempi in cui l’emergenza erano gli Albanesi che arrivavano nel canale di Otranto (a conferma del fatto che continuiamo a parlare di emergenza da circa 30 anni – come se si pretendesse di curare l’ipertensione sempre e soltanto al Pronto Soccorso). Poi certamente ci sono cooperative improvvisate all’ultimo minuto, finte ONLUS e imprese che si sono buttate su un mercato che il sistema di gestione emergenziale ha alimentato. Ci sono anche cooperative sociali che hanno individuato in questo settore d’intervento un’occasione per incrementare il fatturato, ma senza per questo necessariamente essere degli speculatori.
Proprio per questo, da oltre due anni in Lombardia abbiamo lavorato come Alleanza delle Cooperative Sociali, sulla Carta della Buona Accoglienza, ripresa poi anche a livello nazionale, per qualificare e dare una cornice di senso e di responsabilità alla gestione di questi servizi. Abbiamo promosso in questo documento l’idea di accoglienza diffusa, la qualificazione di servizi di accompagnamento (tutela della salute, accesso ai servizi sociali, autonomia abitativa) e di integrazione (formazione professionale, tirocini lavorativi), il coinvolgimento degli Enti Locali come nel modello SPRAR e l’identificazione di requisiti essenziali con un sistema di autoverifica che abbiamo portato avanti in questi due anni, facendo incontri e visite ai diversi CAS della Lombardia. Lo abbiamo anche praticato promuovendo, in dialogo con gli enti locali che hanno deciso di accogliere la sfida di essere protagonisti e non nascondersi dietro il populismo, l’ampliamento dei progetti SPRAR ed investendo nei percorsi di buona accoglienza nelle comunità.
Per questo riteniamo inutile e pericolosa, l’affermazione che si potrebbe gestire l’accoglienza con 17 euro al giorno, in luogo dei tanto famigerati 35. Una rincorsa al ribasso (di senso non solo economico) che punta a compiacere il risentimento o il rancore di chi alimenta un idea distorta per la quale, spendere risorse per dare accoglienza ai richiedenti asilo sia uno spreco o comunque un offesa agli italiani poveri. Tanto per fare un raffronto: un detenuto in carcere costa 124,96 € al giorno; un minore in CAM dagli 85 ai 100 € al giorno; un anziano in RSA mediamente 59,64 €. È evidente che gestire strutture e servizi di accoglienza è costoso, ma quanto sarebbero i costi sociali di avere una gestione dell’accoglienza a 17 € al giorno? Si potrebbero fare delle tendopoli od organizzare dei campi profughi sul modello africano o libanese, ma non dubitiamo che chi ha scritto quella proposta volesse arrivare li.
Durante le visite che abbiamo realizzato nei mesi scorsi nei diversi CAS per verificare la coerenza con la “Carta della Buona Accoglienza” abbiamo avuto modo di conoscere molte realtà, non pochi singoli eroi ma decine di cooperative sociali e reti associative che gestiscono seriamente servizi complessi, fanno molto di più che della semplice accoglienza…lo fanno bene per la propria vocazione e lo fanno per il bene della comunità perché sono cooperative sociale che accolgono i rifugiati, non perché vi è un fatturato da fare, ma per aiutare la propria comunità locale a gestire un fenomeno per il quale siamo ancora impreparati, prima di tutto culturalmente ed emotivamente. Lo fano dedicando una attenzione particolare dentro l’accoglienza alle fragilità nelle fragilità (mamme con figli, disagio fisico e psichico) , mettendo così a frutto la competenza costruita in questi anni a fianco delle persone fragili.
Siamo disponibili a organizzare visite a queste esperienze con chi è interessato a vedere con i propri occhi e non scrivere per sentito dire…
Abbiamo incontrato cooperatrici e cooperatori disponibile a dimostrare, col lavoro quotidiano, che è possibile costruire percorsi di accoglienza ed inclusone, che è possibile realizzare un idea che si possono mettere “prima gli italiani” anche sul piano della capacità di accogliere, si può essere “prima italiani” senza per questo disprezzare o umiliare chi si ritiene debba venire dopo. Costruire un buon sistema di accoglienza diffuso, che renda le comunità locali capaci di accogliere significa dire anche prima gli esseri umani è la premessa pe poter dire con responsabilità e dignità anche prima gli italiani, che del resto se andiamo a verificare chi benefica in fondo dei 35 € sono lavoratori dell’accoglienza in grandissima parte Italiani, chi riscuote gli affitti per le strutture adibite all’accoglienza sono Italiani, chi fornisce derrate alimentari e servizi sono Italiani. È un business? Certo come lo sono le case di cura, gli ambulatori medici, le scuole, l’assistenza domiciliare, le ricostruzioni dopo i terremoti, i servizi legati al REI…
Alla fine la vera emergenza è quella di ristabilire un sistema di comunicazione e di analisi fondato su dati certi e su informazioni documentate, che incoraggi la fatica di conoscere e non colluda con la semplificazione delle affermazioni ad effetto. In questo la responsabilità degli organi di stampa è centrale: se si continua ad alimentare odio non si costruisce certamente bene comune….certo sparare i titoli fa vendere i giornali…fare informazione è difficile e richiede attenzione specie se lo si vuole fare dentro la logica di costruire un Terzo Settore attivo e protagonista….
Se vogliamo riqualificare il sistema di accoglienza siamo in prima fila come cooperatori ad investire nella logica di costituzione di un sistema stabile. Ma facciamolo partendo da una analisi obiettiva, smontiamo la falsa e mistificante distinzione tra migranti economici e rifugiati. Creiamo una politica che ragioni sulla riduzione delle disuguaglianze tra nord e sud del mondo e dentro il nord del mondo. Usciamo dalla gestione emergenziale e proviamo a costruire un idea di accoglienza sostenibile ed inclusiva. Mentre scriviamo queste righe si è chiuso il vertice del Consiglio Europeo che sulla questione migranti, purtroppo conferma la distinzione tra migranti economici e rifugiati, ed in attesa di rivedere il trattato di Dublino, sembra confermare l’ipotesi di hot-spot chiusi nei Paesi di primo arrivo. Questo significherà che in Italia non si faranno più CAS con accoglienza diffusa, ma probabilmente si faranno grandi centri chiusi. Ecco lo diciamo già da ora le cooperative sociali stiano lontane dalla gestione di queste strutture, poiché per le cooperative sociali gestire servizi di accoglienza deve essere prima di tutto un servizio per la propria comunità locale, in questo senso ancora una volta ciò significa per noi “prima gli Italiani”. Restiamo cooperatori!