l 13 maggio del 1978, quarant’anni fa, entrò in vigore la Legge 180, comunemente detta Legge Basaglia, ricordata come la legge che ha “chiuso i manicomi”. In occasione di questa ricorrenza, Rivista Solidea dedica nel numero 2/2018 un focus specifico a questo tema. Tra i contributi presenti nel volume vogliamo proporvi quello di Andrea Bernardoni, responsabile imprese sociali, cooperative sociali e cooperative di comunità presso Legacoop Umbria.
Il 13 maggio del 1978, quarant’anni fa, entrò in vigore la Legge 180, comunemente detta Legge Basaglia, ricordata come la legge che ha “chiuso i manicomi”. L’approvazione della Legge 180 è stato il punto di arrivo di un lungo cammino iniziato da Franco Basaglia nel 1961, nell’ospedale psichiatrico di Gorizia. Negli anni Sessanta era ancora in vigore la legge del 1904 applicando la quale venivano internate le persone “affette per qualunque causa da alienazione mentale, quando siano pericolose”. In quegli anni l’internamento negli ospedali psichiatrici era una punizione piuttosto che una cura, le persone erano recluse anziché ricoverate, il disagio psichico era una colpa da nascondere più che un normale malattia.
Sino al 1978 il malato di mente non era un cittadino, era privato di qualsiasi diritto, per lui la Costituzione non era validata, gli internati non avevano voce rispetto alle cure e non potevano decidere nulla della loro vita. La legge 180 restituisce libertà, diritti e dignità ai malati di mente, li riconosce come cittadini e come tali gli riconosce il diritto alla casa, il diritto al lavoro, il diritto alla salute, il diritto ad avere una famiglia e degli affetti. La riforma della psichiatria inizia negli ospedali psichiatrici ma dispiega i sui effetti nella società, generando innovazione anche sul fronte imprenditoriale, dalla chiusura dei manicomi sono infatti nate le prime cooperative sociali ante litteram, imprese che non perseguono la massimizzazione del profitto ma l’interesse generale della comunità.
La cooperazione sociale, nata grazie al lavoro di gruppi spontanei di cittadini, è stata la formalizzazione di un impegno civile che ha saputo strutturarsi e, attraverso la forma cooperativa, ha sottratto la solidarietà al caso e all’approssimazione. In questo percorso, le cooperative sociali sono state lo strumento per ricomporre aspetti apparentemente inconciliabili, l’impresa e la solidarietà, dando vita ad organizzazioni legate alle comunità in cui cooperavano lavoratori, volontari ed utenti per svolgere insieme attività d’impresa non per il profitto ma per perseguire il benessere generale (Borzaga e Ianes, 2006).
A più di quarant’anni dalla nascita delle prime cooperative sociali, questa forma di impresa che tiene insieme solidarietà e mutualità, ha fatto registrare una progressiva e costante crescita, anche negli anni della grande recessione, tuttavia tra le cooperative sociali sono presenti diverse fragilità imprenditoriali e di orientamento sociale (Bernardoni e Picciotti, 2017). A fianco di organizzazioni che operano in modo efficiente, sperimentano servizi innovativi capaci di rispondere ai nuovi bisogni e sono attente a preservare gli obiettivi di giustizia ed inclusione sociale, vi sono infatti altre cooperative che hanno modelli organizzativi ed imprenditoriali fragili, si difendono dietro rendite di posizione ingiustificate, sono scarsamente innovative e spesso sono orientate a soddisfare più l’interesse dei membri che non quello dei beneficiari e delle comunità in cui operano (Fazzi, 2013).
Negli anni Duemila, in particolar modo, il lessico dei cooperatori sociali si è modificato. Parole come diritti, solidarietà e collaborazione centrali nelle prime esperienze di cooperazione sociale, legate culturalmente e simbolicamente al superamento delle istituzioni manicomiali, sono state sostituite da altre parole come mercato, bisogni e competizione. Questo processo è legato alle trasformazioni economiche, sociali e culturali che hanno attraversato il Paese in questi decenni e sul fronte del welfare strettamente connesso alla trasformazione del modello di regolazione del mercato dei servizi sociali e socio sanitari che a partire dagli anni Duemila ha privilegiato gli strumenti competitivi in primo luogo le gare di appalto. È un processo che sta lentamente erodendo alcune caratteristiche distintive delle cooperazione sociale e che rischia di far perdere a questa forma di impresa il vantaggio competitivo fondato sulla fiducia, sulla capacità di costruire reti e legami sociali, sul saper attivare e coordinare risorse pubbliche, private e di comunità e sul perseguimento di finalità sociali con un forte rapporto con il territorio.
È utile ricordare che il movimento che ha portato all’approvazione della legge 180 e ha sostenuto il processo di riforma della psichiatria ha avuto una forte dimensione politica che si è sintetizza nella battaglia combattuta da migliaia di uomini e donne per dare diritti a chi diritti non ne aveva. Una battaglia che ha coinvolto intere comunità, non solo medici ma anche giovani, che entravano come volontari negli ospedali, artisti, che realizzavano istallazioni e organizzavano laboratori nei padiglioni manicomiali, giornalisti e scrittori, che narravano i processi di deistituzionalizzazione, sindacati e partiti politici, che accompagnavano le fasi più cruciali della riforma, nuovi imprenditori che creavano imprese sociali per rendere esigibili diritti.
A quarant’anni dall’approvazione della legge 180 è necessario recuperare la dimensione politica, la forza di trasformazione e cambiamento della società che hanno caratterizzato quegli anni, è necessario costruire un nuove alleanze per garantire nuovi e vecchi diritti. È necessario impegnarsi per l’accoglienza dei migranti, per il contrasto delle diseguaglianze e delle povertà.
Come negli anni Settanta le prime cooperative di solidarietà sociale sono state capaci di interpretare i cambiamenti economici, culturali e sociali che stavano attraversando l’Italia, la sfida della cooperazione sociale degli anni Duemila è quella di reinterpretare il proprio ruolo nella società riuscendo a dare risposte innovative alle rapide trasformazioni che stanno interessando il Paese, lavorando nel mercato senza interiorizzare i valori del mercato, utilizzando la finanza mantenendo però autonomia ed indipendenza, sviluppando un’innovazione che parta dai diritti delle persone più deboli. La sfida è impegnativa ma può essere vinta.
Riferimenti bibliografici
Bernardoni A. e Picciotti A., Le imprese sociali tra mercato e comunità, FrancoAngeli, Milano, 2017.
Borzaga C. e Ianes A., L’economia della solidarietà, Donzelli, Roma, 2006.
Fazzi L., Terzo settore e nuovo welfare in Italia, FrancoAngeli, 2013.