Nel Giorno della Memoria del 27 gennaio, ricorrenza istituita nel 2005 dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite per commemorare le vittime dell’Olocausto, le prime delle quali, com’è ormai noto, furono proprio le persone con disabilità, ci sarà a Milano l’incontro “Non dimenticare. Per un futuro migliore”, promosso dal CCDU (Comitato dei Cittadini per i Diritti Umani), per richiamare l’attenzione sulle responsabilità della psichiatria nelle teorizzazioni che portarono alle pratiche di sterminio poste in essere durante il Nazismo. Un’occasione per ricordare l’Olocausto, dunque, ma anche per comprendere che “quel passato non è ancora passato”.
L’incontro, ospitato presso l’Auditorium della Chiesa di Scientology di Milano, Viale Fulvio Testi, 327, alle ore 17.00, sarà coordinato da Alberto Brughettini, vicepresidente del CCDU, e avrà come relatori e relatrici Amal Ahmed, presidente dell’Associazione EVA (Associazione Donne Egiziane), Silvia Cutrera, attivista per i diritti umani delle persone con disabilità, vicepresidente della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap) e Giorgio Pompa, presidente dell’Associazione Dalle Ande agli Appennini.
Dal CCCD in una nota informativa denominata “Le teorie psichiatriche alla base della Shoah”, afferma come lo psicologo inglese Francis Galton, cugino di Darwin, creò una pseudoscienza che ebbe un profondo e duraturo effetto sul futuro modo di pensare psichiatrico: l’eugenetica, dal greco εὐγενής (eughenès), che significa “di buona razza”, definendo certi gruppi di etnia diversa quali “razze inferiori”. La teoria di Galton fu presto abbracciata da alcuni psichiatri, tra i quali Emil Kraepelin, noto per i suoi tentativi di classificare i “disturbi” mentali, tanto da indurre lo stesso Hitler, nella sua opera più nota, Mein Kampf, pubblicata nel 1925, a guardare alla teoria psichiatrica dell’eugenetica come alla scienza che avrebbe ricostruito la sua nazione. In una legge sulla Prevenzione della Progenie Geneticamente Malata, venne decretata la sterilizzazione obbligatoria di chiunque fosse afflitto/a da una serie di presunti disturbi genetici, una pratica che interessò circa 400.000 cittadini/e con disabilità tedeschi. Pratica che raggiunse il culmine con l’Aktion T4 (Operazione T4) che col contributo determinante di rinomati psichiatri, portò alla soppressione di oltre 70.200 persone con disabilità le cui vite erano considerate “indegne di essere vissute”.
Nel 1941 terminò ufficialmente l’Aktion T4, ma, non curanti di questo, degli psichiatri portarono, dapprima, all’uccisione “celata” di altri 230.000 pazienti psichiatrici, e in seguito con lo sterminio metodico attuato nei campi di concentramento.
Non è superfluo sottolineare che il bersaglio di queste terribili violenze sono ancora una volta in larga prevalenza donne con disabilità intellettive e psichiatriche sottoposte a “regimi di tutela”, figure nelle quali si concettizza il fatidico incrocio tra di disabilità e genere da cui hanno origine le discriminazioni multiple e inter-sezionali.
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