“L’arte costituisce un regno intermedio tra la realtà che frustra i desideri e il mondo della fantasia che li appaga […]. L’artista è, originariamente, un uomo che si distoglie dalla realtà […] e lascia che i suoi desideri di amore e di gloria si realizzino nella vita di fantasia”, diceva Sigmund Freud per spiegare il rapporto tra arte e follia.
Associare la genialità alla “Devianza mentale” è un luogo comune, ma non troppo, perché la storia è popolata di artisti famosi che hanno vissuto con problemi nervosi più o meno gravi trasferiti nelle loro opere, a dimostrazione che la sofferenza psicologica e psichiatrica trova nella creatività uno sfogo per esternare dolore ed emozioni. Altri, pur non avendo disturbi di questo genere, hanno raccontato la follia, ne sono stati attratti, in alcuni casi hanno usato la loro arte come forma di denuncia sociale.
In un certo senso l’arte, se sappiamo interpretarla con attenzione, ci aiuta a considerare la malattia mentale come parte della condizione umana. Ancora Freud affermava che la follia emerge dalla liberazione dell’inconscio dalle catene della censura e della rimozione; applicando questo concetto all’arte, si può dire che la creatività viene potenziata dalla psicopatologia, quest’ultima acuisce l’ispirazione e la fa uscire dagli schemi accademici per esplorare nuovi percorsi.
Regolarità, equilibrio e armonia fino a un dato momento sono stati gli unici criteri ammessi per i soggetti rappresentati in tele e sculture. L’uomo “Fuori di senno” fa capolino nel repertorio figurativo sulla carta del Matto nei tarocchi. Nel corso dei secoli è diventato il jolly, l’allegro burlone del mazzo di carte francesi, con il capo coronato da un buffo cappello colorato, sul viso l’espressione sorridente e incosciente di chi passa attraverso la vita senza rendersi ben conto di ciò che gli accade intorno, peculiarità che anticamente si riteneva propria dei “Pazzi“. Incoscienza ma anche sofferenza nella follia, se pensiamo che la parola “Pazzo” deriva dal latino pati, soffrire.
Se nel mondo classico la “Pazzia” era legata addirittura alla sfera sacra (gli oracoli vaticinavano i loro responsi sotto l’effetto di sostanze inebrianti che li facevano entrare in trance), nel Medioevo il “Matto” diventa l’espressione terrena del demonio, una “Non persona” che si comporta in maniera imprevedibile ed è quindi da esorcizzare. Malgrado questa premessa legata alla società dell’epoca, è proprio nell’arte medievale che prende corpo la figura del “Pazzo“, essenzialmente legata alla religione e alla spiritualità.
Il primo versetto del Salmo 52 delle Scritture recita Dixit insipiens in corde suo non est Deus, “Lo stolto disse in cuor suo non c’è Dio“. Se da un lato, dunque, la follia è ignoranza e assenza di amore per Dio, dall’altro c’è il suo opposto, i cosiddetti “Pazzi di Dio” che arrivano ad una devozione ossessiva, portata all’eccesso, come si può vedere nei capolavori in cui Giotto raffigura San Francesco in estasi mentre riceve le stimmate, sia nella Basilica Superiore di Assisi che nella tempera su tavola conservata al Louvre.
È nel XIV secolo che il “Matto” entra nella società. Nelle corti il buffone, “Folle” per natura, intrattiene la nobiltà sbeffeggiandola con critiche pungenti che vengono accettate perché quella persona con il mantello rigato e il cappuccio con i campanelli non è considerato “Normale” e gli si perdona ciò che ad altri non sarebbe permesso dire.
A cavallo tra Medioevo e Rinascimento la figura del “Pazzo” si identifica con il suo iconico abbigliamento, diventa veicolo delle idee più sovversive, si ritaglia un ruolo anche nella riforma protestante dove il “Folle” è l’altro, quello che segue una religione differente. Si lega alle feste carnevalesche e al folklore, la pazzia diventa oggetto di scritti e trattati, uno per tutti l’Elogio della follia di Erasmo da Rotterdam il quale senza mezzi termini afferma che “Ogni azione che gli uomini compiono è intrisa di pazzia“.
Fonte: Superando.it
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