CUORI NASCOSTI. STORIE EMOZIONANTI DAI TERRIBILI MARGINI DELL’ESISTENZA

Matti, carcerati, barboni, ragazzacci e altri invisibili eroi sono i protagonisti delle storie tra le pagine di Cuori nascosti, nuovo libro di Michele Capitani, volontario della Comunità di Sant’Egidio e professore di lettere nei Cpia (Centro Provinciale per l’Istruzione degli Adulti del Lazio). “Scrivo per far conoscere i confini apparentemente remoti ma in realtà compenetrati alla nostra città visibile e benestante“.

Persone detenute o con malattie mentali, homeless, adulti che riescono a tornare a scuola, adolescenti difficiliE adorabili“, “Storie di immigrazione complicata“: sono i protagonisti di Cuori nascosti. Storie emozionanti di matti, carcerati, barboni, ragazzacci e altri invisibili eroi, nuovo libro di Michele Capitani pubblicato da Prospettiva editrice. Dopo i precedenti sui senza dimora – Romanzi non scritti. Drammi e salvezza nelle storie dei senza fissa dimora (Dehoniane) e L’uomo che dribblava i treni. Storie di una umanità senza dimora (Paoline), tradotto anche in spagnolo –, questo volume di racconti affronta le marginalità ad ampio raggio che l’autore conosce da vicino, essendo volontario della Comunità di Sant’Egidio con i senza dimora a Civitavecchia e professore di lettere nei Cpia (Centri provinciali per l’istruzione degli adulti, carceri incluse). Su questi temi Capitani ha ideato e tiene mensilmente, da alcuni anni, la rubricaI racconti dei sopravvissuti” nel blog Spaziolibero.

Nella serale per adulti – riferisce Capitani – “Gli alunni vanno dai sedici anni fino ai millanta; gli italiani di rado sono la maggioranza, poiché gli stranieri non hanno un titolo italiano, e spesso poca padronanza della lingua; si fa lezione soprattutto il pomeriggio, per facilitare chi lavora la mattina; non dura anni e anni, anche perché a un adulto che ha tirato su una famiglia o un’azienda non vanno insegnate le stesse cose che a un ragazzino; al contrario: ci sarà da valorizzare ciò che già sa, e ciò che sa fare. E, come mi è successo varie volte, capita di insegnare a un ragazzo, e l’anno dopo al genitore, o anche contemporaneamente“. Mentre in carcere la scuola serve per spingere i detenutiA pensare sé stessi in prospettiva, e a considerarsi differenti da com’erano prima, a stimolarli affinché il tempo della pena non sia sinonimo di tempo sprecato“. Dietro le sbarre, infatti, “l’apprendimento non può essere solo passivo e tranquillizzante, al contrario: contempla sempre il rischio di trovarsi di fronte a una messa in crisi, a difficoltà impreviste, a spunti spinosi, a stimoli scomodi, poiché una volta in classe non si può rimanere nella propria cella interiore, in cui ci si illude di sopravvivere indisturbati“. Pagine che svelano i vissuti di persone invisibili, restituendo loro non solo visibilità ma soprattutto dignità.

Fonte: Retisolidali.it

Photo: Retisolidali.it