Mauro? Carla Rostagno: “Un fratello che mi ha insegnato a essere libera”

Un rapporto di grande amore, quello che legava Carla Rostagno a Mauro, un fratello del quale ha sempre ammirato il coraggio, la sua capacità di cambiare molte volte idea restando fedele ai suoi principi. Un sociologo, un attivista politico, un giornalista, un uomo per il quale la vita andava vissuta e anche sacrificata per essere e rendere liberi.

Mauro Rostagno avrebbe 83 anni, li avrebbe compiuti tra qualche giorno, esattamente il 6 marzo. Neanche tanti per uno come lui che la vita la prendeva di petto, respirandola a pieni polmoni. Per molti un punto di riferimento, una pietra miliare nella storia di una parte del Paese, in un certo senso un eroe. Forse anche in virtù di come, quella vita che lui tanto amava e che insegnava a tutti a viverla senza scendere a compromessi, gli venne strappata in quella tragica notte del 26 settembre 1988, ucciso dalla mafia trapanese.

“Chi può mai credere che da piccolo era timidissimo?” pesca nei ricordi la sorella Carla, più giovane di lui di cinque anni. “Eppure lo era, anche se forse più che timido era introverso, chiuso. Poi, un giorno, la svolta. Tira fuori il suo carattere e non si ferma più, coinvolgente, allegro, divertente. Era, per esempio, bravissimo nelle imitazioni. Adesso mi viene in mente, Walter Chiari, si, amava imitare proprio lui e devo dire che ci riusciva benissimo. Se era in vena, metteva su delle vere e proprie sceneggiate che trasformavano in evento anche una semplice riunione. Amava anche il dialetto. Insomma, era uno di quei fratelli con i quali ci si divertiva veramente“.

Il matrimonio a 18 anni, prima ancora del diploma.

Erano tutti e due giovani, troppo giovani“, prosegue il racconto Carla Rostagno, “Infatti durò pochissimo. Fu una tragedia terrificante in famiglia, perché mio padre era assolutamente contrario, mentre mia mamma  voleva che si sposasse, più che altro per la bambina che stava arrivando, Monica, la sua prima figlia. L’unica condizione che pose nostro padre fu quella che si sarebbe sposato solo se avesse continuato con l’università. Mio padre, inoltre, conosceva il direttore generale dell’Autobianchi e lo fece assumere, anche perché la moglie pretendeva che lui lavorasse, anziché andare all’università. Anche questa una parentesi molto breve. Durò 8 mesi, perché un giorno non si presentò più al lavoro, con la grande rabbia di papà che si era esposto. Uno di quei moti di libertà che gli appartenevamo profondamente“.

Fonte: Vita.it

Photo: Vita.it