Le direttive europee, un obbligo spesso disatteso
La situazione è nota: la crisi ha messo in ginocchio le aziende, gli imprenditori hanno difficoltà a pagare i dipendenti, le famiglie non riescono ad arrivare alla fine del mese, i consumi si contraggono. Il vortice negativo che la congiuntura porta con sé – per quanto esistano ancora isole felici, a trovarle – mina soprattutto le categorie più deboli, percepite troppo spesso come un costo da eludere e non un’opportunità. A farne le spese, neanche a dirlo, l’inclusione di soggetti a rischio emarginazione, argomento sempre spendibile, ma poco applicato. E ciò nonostante le leggi in materia (Legge 104/92 – Legge quadro sulla disabilità e Legge 68/99 sul collocamento lavorativo) abbiano tracciato percorsi precisi. Spiega l’Isfol che “il quadro giuridico antidiscriminatorio dell’Ue si compone di alcune direttive che vietano le discriminazioni in materia di lavoro, formazione, assistenza sanitaria, prestazioni sociali, istruzione, accesso a beni e servizi, sebbene con tutele differenti in base ai fattori di rischio di discriminazione. L’efficacia della protezione giuridica è assicurata anche dalle misure di accompagnamento: formazione, collegamento in rete, sensibilizzazione e diffusione”.
In questo senso le direttive comunitarie prevedono una serie di interventi volti a favorire l’integrazione e l’inclusione sociale di persone che vivono in una condizione di disagio sociale (non solo quelle con disabilità, ma anche donne e giovani il cui mancato impatto nel mercato del lavoro corrisponde alla perdita di svariati punti di Pil). Ad esempio il Fondo sociale europeo (FSE), uno dei fondi strutturali dell’Unione europea, è stato istituito nel 1957 per ridurre le differenze in termini di prosperità e di tenore di vita tra gli Stati membri. Vale circa il 10% del bilancio totale dell’Ue e finanzia molti progetti. I finanziamenti vengono distribuiti tra gli Stati membri e le regioni, in particolare quelle in cui lo sviluppo economico è meno avanzato. Dal 2007 al 2013, quasi 10 milioni di persone hanno beneficiato ogni anno delle misure finanziate dal FSE, che ha erogato 76 miliardi di euro, a complemento dei circa 36 miliardi di euro di finanziamenti pubblici nazionali.
Tra i programmi adottati, uno dei più rilevanti è Lotta alle discriminazioni. Si tratta di un progetto cofinanziato in Spagna dal FSE per aiutare categorie più a rischio di discriminazione a entrare nel mercato del lavoro. Spiega la Commissione europea in un report di marzo 2013: “Fra i beneficiari, donne, genitori soli, giovani, uomini e donne con disabilità, rom e altre minoranze etniche, immigrati ed emigrati tornati in patria, detenuti e persone con precedenti penali”.
Il programma si è poi esteso anche al di fuori della Spagna e “ha sviluppato attività di collaborazione e sinergie con iniziative analoghe di altri paesi europei, in particolare per quanto riguarda l’impatto politico, la sensibilizzazione, gli strumenti di sviluppo, l’analisi e le pubblicazioni”. Servirebbe, però, una più vigorosa campagna di sensibilizzazione sul tema che coinvolga anche gli imprenditori privati. Perché, al solito, sono le istituzioni non profit a svolgere un ruolo determinante. “Cinque Ong nazionali di spicco – informa la Commissione a tale proposito – partecipano alla progettazione delle strategie di attuazione del programma: un caso promettente e finora unico nell’Ue; l’esperienza dimostra che le Ong sono nella posizione migliore per fornire un aiuto efficace ai gruppi più svantaggiati”.